domenica 28 Aprile 2024

Archeologia e Pasquetta

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Pasquetta rappresenta, nella nostra storia e nella nostra cultura, un rito imprescindibile, che è andato via via modificandosi negli anni e che ancora oggi mostra importanti segni di evoluzione. È forse la vera prima gita fuori porta, rituale che si incardina all’interno del percorso cristiano che negli ultimi duemila anni ha inciso profondamente non solo sulla nostra cultura aulica, ma anche e soprattutto sulla nostra quotidianità. In quanto tale, quindi, Pasquetta potrebbe forse essere davvero analizzata secondo una prospettiva archeologica, ma non è questo il tema della riflessione.

Qui non si intende fare una lettura dell’evoluzione della Pasquetta nei secoli. Qui si intende fare una lettura del rapporto tra le dimensioni contemporanee più pratiche di questo rito e il mondo dell’archeologia. Basta volgere indietro lo sguardo di 20 anni per capire come sia mutato l’approccio delle aree archeologiche nei confronti di quelli che, qualche tempo fa, venivano temuti come invasori barbari. Se si fa una veloce ricerca, oggi le principali aree archeologiche sgomitano, a suon di titoli, per mostrare con orgoglio le loro aperture straordinarie: venite da noi, abbiamo spazi verdi, abbiamo cultura, il panorama. Dove 20 anni fa c’era la chiusura a tutela della cultura contro gli assaltatori del lunedì, oggi c’è una rincorsa dei visitatori, dei cittadini da coinvolgere in politiche di engagement. In questo senso, il rapporto tra le aree archeologiche e gli italiani nel giorno di Pasquetta è una perfetta metafora dell’evoluzione che il mondo della cultura (e soprattutto le sue dimensioni più istituzionali) ha conosciuto negli ultimi 20 anni. Un’evoluzione giusta, ma che rischia forse di portare ad un eccesso opposto, di cui bisogna in ogni caso tener conto. Perché era sicuramente sbagliato, forse un po’ arrogante, cercare di limitare quanto più possibile gli ingressi durante il giorno di Pasquetta per timore, talvolta anche fondato, che le aree archeologiche divenissero surrogati di aree di pic-nic con bottiglie lasciate a terra e schiamazzi.

Ammettere che fosse sbagliato però non implica accettare acriticamente l’equazione “ingressi=visitatori” che si intende circondare di un alone di certezza. Che le aree archeologiche debbano essere aperti ai cittadini è essenziale, al di là degli aspetti più prettamente giuridici. Ma l’apertura ai cittadini significa capirne le istanze, e far convergere tali istanze verso la conoscenza che le aree archeologiche del nostro Paese rendono trasferibile. Una conoscenza che, sia chiaro, non è affatto soltanto nozionistica. Purché in sicurezza, e purché coerente con la narrazione del sito, è lecito anche si giochi a calcio in un’area archeologica. O ci si faccia pic-nic. O si canti, si danzi, e si lascino i bambini urlare e rincorrersi.

Fare esperienza delle aree archeologiche può forse essere una delle dimensioni più autentiche per poter rapportarsi con il proprio passato. Ma tale esperienza deve essere però declinata in una logica di archeologia condivisa, un’archeologia che condivide quindi le ragioni della propria esperienza e consente ai cittadini di partecipare attivamente, e consapevolmente, ai processi di valorizzazione, che se coerenti con il luogo possono coinvolgere qualsiasi elemento della vita umana. Perché fa forse parte degli obiettivi più alti dell’archeologia, trasferirci la consapevolezza che malgrado i sistemi sociali differenti, malgrado le lingue differenti, malgrado le divinità differenti, ei differenti gusti in termini di moda, di cibo, di partner, ebbene malgrado tutte quelle differenze, noi, oggi, facciamo parte di una specie, e i nostri antenati, proprio come noi, cucinavano (elemento ben trattato), combattevano (anche questo ben noto), ma proprio come noi si emozionavano, si innamoravano, si ubriacavano, stringevano amicizie, coltivavano antipatie, giocavano.

Guardando invece alla febbre del numero, viene quasi il sospetto che, come contatori-algoritmici da sito Web, le aree archeologiche aprano a cittadini e turisti perché nella nostra attuale concezione di cultura, sarebbe impensabile fare il contrario, piuttosto che cogliere in questo grande cambiamento di approccio nei riguardi dei visitatori, l’opportunità di creare, con quei visitatori sporadici, un rapporto del tutto nuovo, e interessante, di vivere l’archeologia.

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