venerdì 26 Aprile 2024

“Ai beni culturali meno dell’1%. Archeologia sia strategica nel piano di ripresa (PNRR). Più attenzione alle comunità locali” – L’INTERVENTO

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di Alessandro Tizi*

Gentilissima Redazione,

seguo con grande interesse i dibattiti e gli articoli pubblicati in questo spazio di democrazia culturale che pone al centro dell’interesse l’archeologia e i suoi protagonisti. Scrivo questa riflessione dopo aver letto le pagine del nuovo Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che il governo presenterà come documento preliminare alla sua approvazione.

Partendo dalle indicazioni del PNRR si evince come ancora una volta il settore della tutela, della valorizzazione e della ricerca nel settore del patrimonio culturale sia totalmente assente dal radar degli obiettivi principali. Perché se è vero che il nuovo documento porta a circa 8 miliardi di euro il fondo destinato al settore della cultura e del turismo, in realtà al patrimonio culturale e ai progetti per la sua tutela e valorizzazione andrà meno dell’1% totale, circa 2 miliardi e 800 milioni di euro. Una cifra di certo non paragonabile ai finanziamenti del tutto insufficienti dei decenni precedenti, operati dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo (MIBACT), ma altrettanto non paragonabile ai ben più consistenti fondi destinati ad altri settori strategici nazionali.

Inoltre, la mancanza di chiarezza sulle linee di implementazione e governance del Piano non fanno che acuire le perplessità circa il suo reale impatto su un settore messo profondamente in crisi dalle ripetute crisi economiche, sociali e politiche. Il rischio di un intervento a pioggia, bloccato da una burocrazia asfissiante, che preclude qualsiasi tentativo di rinnovamento, e contrassegnato da una serie di azioni ed iniziative spot sui grandi siti e sulle aree di rilevanza nazionale, è sottolineato anche dalla nota congiunta delle associazioni di categoria e dalle consulte universitarie.

Concordo, personalmente, con molte delle richieste avanzate nel documento proposto al governo, tuttavia, penso come manchi ancora un reale e forte richiamo ad una partecipazione dinamica ed attiva delle comunità locali.

Il nostro patrimonio culturale, artistico, archeologico, monumentale, archivistico è formato per la stragrande maggioranza da piccoli siti e punti di interesse capillarmente diffusi su tutto il territorio nazionali, spesso abbandonati alla buona volontà di archeologi ed archeologhe che lavorano senza alcun riconoscimento, non solo economico, sfidando le imbarazzanti pratiche burocratiche del nostro ordinamento e consacrando la propria esistenza spesso a progetti che solo raramente trovano un esito felice. Il compito del Mibact non dovrebbe essere quello di fare proclami e spot, lanciando notizie di scoperte dal sapore romantico dai siti più affascinanti e meglio spendibili dal punto di vista propagandistico, dovrebbe, invece, proteggere coloro che lavorano silenziosamente nell’oscurità dei meandri dell’archeologia italiana, ascoltando le loro, le nostre, richieste e indicazioni. Ci sono migliaia di archeologi professionisti, funzionari delle Soprintendenze, ricercatori e professori delle università, studenti, che portano avanti i loro progetti di ricerca e le loro attività di valorizzazione e promozione con enorme passione. Questo dovrebbe essere lo scopo del nostro ministero, nato per dare forza ad un settore di enorme valore per la Repubblica Italiana, che genera un indotto economico, basato sul turismo di straordinaria rilevanza, e un potenziale culturale spesso per larga parte inesplorato per le giovani generazioni.

La mia idea è quella di un grande dibattito nazionale sulle linee di investimento, rivoluzionando completamente le logiche top-down finora utilizzate, affinché l’archeologia sia veramente pubblica e comunitaria.

Le nostre associazioni, le nostre professionalità sono pronte a presentare molte proposte ed idee concrete. Chiediamo di essere finalmente coinvolti.

*Direttore del Gruppo Archeologico Città di Tuscania

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