venerdì 26 Aprile 2024

La differenza tra diplomazia culturale e marketing

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Si immagini il lavoro di un Amministratore Delegato di una società che produce e vende “macchinari” e che si basa su una struttura di vendita “geografica” con un team di venditori (quelli che un tempo si chiamavano rappresentanti) dislocati nelle differenti regioni d’Italia. A fine mese, chiaramente, tale Amministratore Delegato chiederà ai propri amministrativi di analizzare le note spese di un venditore: cena fuori, caffè, trasporti, benzina.

Tali note spese, poi, dovranno essere affiancate ad “output” ottenuti: una cena fuori un cliente, un caffè un potenziale cliente, trasporti soltanto se necessari. In alcuni casi, l’Amministratore Delegato chiederà conto di alcune spese cui non sono associate vendite: in quel caso il venditore potrà confermare si tratta di lead, vale a dire contatti non ancora divenuti clienti, ma che potrebbero divenirlo in futuro.

A fronte del numero di lead, l’Amministratore Delegato potrà scegliere, dopo un adeguato intervallo temporale, di indire un evento, che si tratti di una giornata di formazione, volto a trasformare i clienti potenziali in clienti reali.

È in questa chiave interpretativa che va probabilmente letta la riunione di Napoli di qualche giorno fa, che, nella sede del Palazzo Reale, ha visto impegnate 40 delegazioni provenienti da 25 Paesi con 42 relatori da tutto il mondo.

Una parziale conferma può essere rintracciata nelle “conclusioni” che lo stesso sito del Ministero indica come i risultati dei lavori, inseriti in un apposito documento e che meritano una citazione testuale: “cultura come bene comune del Mediterraneo, posizionata al cuore della Nuova Agenda per il Mediterraneo e l’Unione Europea; sostegno dell’educazione a una cultura di pace e solidarietà, che promuova la diversità culturale e linguistica esaltando i valori del nostro patrimonio culturale comune, basati su secoli di storia e cultura condivisa; cultura come sostegno di società ed economie prospere, inclusive e sostenibili; una nuova stagione di cooperazione culturale, strategica e permanente, per ripristinare le relazioni culturali internazionali nella regione euro-mediterranea; un più efficace contrasto al traffico illegale di beni culturali e alla distruzione intenzionale del patrimonio culturale; il riconoscimento dell’importanza della cultura per l’azione per il clima; sostegno alla mobilità e allo scambio di talenti; apertura di un percorso denominato “Iniziativa di Napoli” che sosterrà la cooperazione culturale nella regione in modo più strategico e duraturo attraverso l’istituzione della Capitale della Cultura del Mediterraneo con cadenza regolare, da realizzare nell’ambito dell’Unione Europea e dell’Unione del Mediterraneo.

Ripetiamoli: cultura come bene comune; sostegno alla pace; diversità culturale; cultura come elemento di economia inclusiva e sostenibile; cooperazione culturale; contrasto al traffico illegale di arti; cultura come beneficio per il clima; scambio tra talenti; istituzione della Capitale della Cultura del Mediterraneo.

Nient’altro che 8 dichiarazioni generiche che fanno da contorno generale a quello che quindi fin dall’inizio è stato identificato come unico obiettivo di conversione: la costituzione della Capitale della Cultura del Mediterraneo, che si andrà quindi ad aggiungere a quella Europea, a quella dell’Italia, e a quella che probabilmente verrà istituita non appena sarà terminato il conflitto in Ucraina.

Sia chiaro: non c’è nulla di male a voler utilizzare anche le tecniche di marketing nel campo di diplomazia culturale, purché gli obiettivi siano chiari e condivisi.

Nel campo culturale, tuttavia, c’è sempre questa vaghezza di fondo, figlia di un contesto socio-culturale in cui l’ampollosità aveva efficacia ed era percepita come un valore aggiunto, e che oggi, completamente anacronistica, vorrebbe sottintendere sempre qualcosa di aulico, svilendo però ogni progresso raggiunto.

Istituire una capitale della cultura del mediterraneo significa istituire delle relazioni economiche tra gli stati aderenti, a partire dalle quali creare poi le occasioni per dialoghi meno “mainstream” e più concreti.

Questo è un obiettivo importante, quantunque presenti più affinità con la comunicazione e l’event marketing che con la diplomazia.

In quanto tale meriterebbe anche un proprio rispetto, senza dover ricorrere all’artificiosità di un dialogo su come la cultura possa svolgere un ruolo importante nell’agenda climatica globale.

Diplomazia, per definizione, indica “l’arte di trattare, per conto dello stato, affari di politica internazionale”. Marketing, per definizione, indica il “complesso dei metodi atti a collocare col massimo profitto i prodotti in un dato mercato”.

Come ad esempio la creazione di un meeting di esponenti di vari Paesi (dato mercato), che decidono di convergere verso la possibilità di istituire un concorso a premi (prodotto) mediante il quale verranno erogate, a turno, differenti somme di denaro (massimo profitto) finalizzate ufficialmente alla valorizzazione culturale mediterranea.

Ci può essere un “marketing di Stato”? Di fatto c’è già, soltanto che preferiamo chiamarlo in altro modo.

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