venerdì 26 Aprile 2024

Storia dell’archeologia italiana da Pompei ai giorni nostri, in versione pamphlet: “La passione e la polvere” di Luigi Malnati

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“La passione e la polvere”, di Luigi Malnati (edito da La Nave di Teseo), mantiene le promesse del titolo: la passione è quella per l’archeologia, di cui Malnati è un ben conosciuto esponente, e la polvere è quella di chi si sporca le mani negli scavi, che l’autore ha frequentato per almeno mezzo secolo. Disattende però in parte la promessa del sottotitolo “Storia dell’archeologia italiana da Pompei ai nostri giorni”, ma non è grave. Le grandi linee della storia ci sono, e ben raccontate, da chi conosce a fondo l’argomento. La prima parte del libro, che arriva fino alla nascita del ministero dei beni culturali, è infatti una storia sintetizzata con rara chiarezza e competenza. In capitoli agili sono raccolti molti elementi utili ad un pubblico esterno, che viene messo per la prima volta a confronto, senza pedanterie, con le difficili strade che l’archeologia ha dovuto trovare per la conoscenza e la tutela delle testimonianze materiali, suo oggetto di studio, e anche su quelle che ha dovuto percorrere per trovare se stessa, nel continuo ondeggiare tra disciplina ancillare della storia dell’arte, strumento di identità, se non di potere, per i governi post-unitari e a maggior ragione per il regime fascista, e materia scientifica, pur legata alle discipline umanistiche.

La seconda metà del volume, però, abbandona nei fatti la storia e si trasforma. In parte diventa un pamphlet – appassionato- sull’archeologia contemporanea, sulle riforme e sugli errori degli stessi archeologi, e in parte emerge come un racconto che intreccia le importanti esperienze di Luigi Malnati all’interno della “macchina” delle soprintendenze fino all’incarico di direttore generale alle antichità del ministero. Quindi il lettore non si aspetti una storia, o meglio, “solo” una storia, in senso stretto, come può essere il caso della “Storia dell’archeologia classica in Italia” di Marcello Barbanera (2015, Laterza). Qui non ci sono note, non c’è apparato, sono di fatto delle lezioni introduttive, quasi dei testi di conferenze rivolte al grande pubblico. In questo è un libro prezioso, perché nulla è dato per scontato, e lo sforzo di far comprendere ai non addetti ai lavori la disciplina è notevole, e ben riuscito. Non troverete una storia “tecnica” della materia, se non per accenni, e neppure una “storia delle scoperte”. Ma vedrete scorrere i nomi che hanno fatto la storia dell’archeologia italiana, le loro idee, le loro debolezze, il loro sforzo per proteggere il grande patrimonio archeologico del paese e per convincere la politica a farlo, in una incessante e spossante opera di mediazione con il legislatore e con le esigenze del Paese. Vedrete andare e tornare soprintendenze e soprintendenti, ministri e ministeri, accorpamenti, linee guida, idee, pubblicazioni, carriere, codici e riforme: promesse, abbozzate, progettate, attuate, in parte, in tutto, in fieri

Nella seconda parte, quella pamphlettistica, vedrete un archeologo appassionato non lesinare giudizi, critiche, elogi, rimostranze. Malnati è infatti un fiero oppositore delle ultime riforme, quelle che attraverso Bray e soprattutto il per nulla amato Dario Franceschini, portano a quella che per l’autore è l’epilogo di “crisi e disgregazione dell’archeologia”, ossia lo “smontaggio” dell’organizzazione precedente, con la nascita delle soprintendenze uniche (SAPAB, ovvero Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio) dove l’archeologia si trova, si troverebbe, in un ruolo subalterno, per non parlare della “separazione radicale dei musei, dei monumenti e delle aree archeologiche strutturate (cioè con biglietto), dalle soprintendenze”. Il tono è netto, da fine impero: ”Finiva  così, dopo più di un secolo, quell’unità voluta dal Fiorelli tra musei e scavi di antichità” di cui l’autore aveva raccontato – con elogi – nella prima parte.

Riteniamo questo libro, pur molto di parte, diremmo “biased”, comunque molto utile per chi si interessa di archeologia in Italia, mantenendo l’avvertenza: non aspettatevi il racconto delle “scoperte”, ma quello di un settore, importante, della cultura del paese, con accenti vibrati su alcuni aspetti, come quello – giustamente – dell’archeologia preventiva, di cui Malnati è stato un propugnatore. Abbiamo imparato da questi capitoli, ad esempio, che nel 2011 ci sono stati 4.000 scavi di emergenza, 3.000 di archeologia preventiva, 140 scavi di ricerca e 400 concessioni di scavo. Che c’erano 348 funzionari archeologi al ministero, 400 nelle università, 1600 archeologi professionisti; che 2.500 archeologi lavoravano stabilmente in Italia, per difetto, con un miliardo e 200 milioni di euro mobilitati, con una media di 150.000 euro a intervento, considerando 8.000 scavi archeologici. Malnati non usa propriamente questo termine, ma più volte la considera un’età dell’oro. I suoi avversari potranno ricordare che “lo dice perché lui era in posizioni di vertice in quel periodo”, ma – pur in modo sottile – lo stesso autore non risparmia colpi a destra e a manca (per la verità molto più a manca che a destra, quasi tutte le riforme provenienti da sinistra, dall’Unità in poi, non godono di grande considerazione), come si addice a un sano J’accuse vecchia maniera (che non a caso, essendo un j’accuse, ha la prefazione di Vittorio Sgarbi). I pregi di un bel j’accuse sono tanti. A cominciare da quello che finalmente si rende chiara, anche per i non addetti ai lavori, la guerra (le guerre?) in corso all’interno dell’archeologia italiana, la separazione netta e dannosa tra il mondo delle soprintendenze e quello accademico. Malnati, che appare evidentemente acceso e coinvolto difensore del primo, è comunque pronto a riconoscere quali negatività abbia trascinato con sé questa faglia culturale, quante occasioni perdute, quante energie sprecate.

Un altro aspetto ben trattato è quello sulla comunicazione e l’archeologia, toccato in ben tre punti del volume. È una delle rare volte in cui i limiti dei giornalisti italiani nel settore sono ben suddivisi con l’incapacità dell’archeologia di comunicare fuori da se stessa. Non solo, ci ricorda Malnati, nel confronto con il grande pubblico, ma anche riguardo al segmento di media cultura. Si è ancora legati alla narrazione del “ritrovamento”, ma cosa arriva al pubblico – si chiede- di quello che fa veramente l’archeologia?

La lettura è consigliata in primo luogo a politici ed amministratori, il libro è un utile strumento per non trattare l’archeologia come oggetto misterioso. Poi a chi abbia voglia di mettersi in gioco, in un mondo con poche risorse, o con risorse molto diseguali tra i vari attori, come quello archeologico. Malnati, pur se ferito, con amarezze professionali e con orgoglio che non nasconde, lo ha fatto con chiarezza, con nomi e cognomi. Ci sono praticamente tutti quelli dell’archeologia italiana contemporanea. Come si diceva una volta in questi casi, “segue dibattito”.

angelo.cimarosti@archaeoreporter.com

books@archaeoreporter.com

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1 commento

  1. Ho conosciuto e apprezzato il Soprintendente Malnati essendo dipendente della Soprintendenza Archeologica del Veneto. A lui debbo , dopo anni di mobbing, la possibilità di lavorare, con passione soprattutto nella mia provincia di Belluno sin al suo arrivo, la cenerentola dell’archeologia del Veneto. I risultati furono molto importanti ed anche le scoperte come quelle delle necropoli dell’Alpago con la situla istoria ed il santuario del Monte Calvario di Auronzo di Cadore , per citarne solo due.

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