giovedì 21 Settembre 2023

Più cultura e meno odio, secondo una ricerca: un incremento dei consumi culturali riduce episodi ostili del 21%

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Un recente articolo, pubblicato dal Journal of Cultural Economics a firma di Denti, Crociata e Faggian, analizza la possibile relazione inversa tra odio e cultura.

Le conclusioni dell’accurato articolo sono piuttosto chiare: secondo gli autori infatti, i risultati della loro ricerca (che è la prima ricerca empirica in Italia sul tema), un incremento dei consumi culturali di un punto percentuale riduce gli episodi di odio di circa 21%.

Ovviamente si tratta di un’indagine che ha i propri limiti, ma che ha senza dubbio il merito di avere fornito dati ottenuti secondo un processo rigoroso attraverso i quali poter estendere una riflessione non solo dal punto di vista economico o politico, ma anche in termini di sviluppo territoriale.

Dato anche il campo di indagine, tanto degli autori quanto della rivisita che ha pubblicato l’articolo, la ricerca condotta verteva infatti sull’analizzare il rapporto tra cultura e odio e come tale rapporto infici sulle dimensioni economiche di un territorio.

Il punto di partenza è più o meno questo: l’affermarsi di episodi d’odio tendono ad avere un impatto economico negativo in ambito territoriale, per una serie di ragioni.

Quindi, quanti più episodi d’odio si registrano in un dato periodo ed in un dato territorio tanto più la dimensione economica tenderà ad essere sub-efficiente.

In pratica, e semplificando fino alla banalità, se ad un maggiore consumo culturale si associa una ridotta espressione d’odio, allora la cultura può favorire le dimensioni culturali del territorio.

Chiaramente, le ricerche scientifiche seguono alcuni metodi che, se da un lato ne attestano la solidità metodologica, dall’altro possono però rischiare di essere oggetto di interpretazioni un po’ assolutistiche.

Del resto, come non si ripete mai abbastanza, la cartina geografica non è il mondo. Una cartina che tenga conto di tutti i dettagli del mondo esiste già, ed è il mondo stesso.

Ciò detto, però, il dato rilevante, anche ai fini del buonsenso, è che la leva del consumo culturale rientra tra quelle variabili che caratterizzano un determinato contesto sociale, andando potenzialmente a ridurre la possibilità che in un determinato ambiente possano verificarsi episodi d’odio.

Lasciamo poi da parte le “cifre” legate alla dimensione economica e a come la presenza o meno di episodi d’odio possa incidere sul valore aggiunto territoriale. Concentriamoci piuttosto su una visione per così dire d’insieme.

In determinati contesti, un incremento del consumo culturale si associa ad una minore comparsa di episodi d’odio, il che significa, sempre semplificando, che ci sia una ridotta possibilità di imbattersi in fazioni che palesemente ostacolano l’affermarsi di una società coerente con i principi di inclusione sociale. Abbiamo pertanto una società che consuma più cultura, che è più inclusiva, e che tendenzialmente potrà anche registrare maggiori livelli di benessere.

Sono tutti elementi che sono effettivamente stati analizzati e verificati.

Eppure c’è una domanda che riecheggia ogni qualvolta ci si trova di fronte ad evidenze di questo tipo: perché, a fronte di tutte queste condizioni, non riusciamo in alcun modo a far affermare una società di questo tipo?

Perché, non riusciamo realmente a far salire il consumo culturale?

Si tratta di limiti della politica, limiti delle politiche, o semplicemente, si tratta di una condizione che è impossibile implementare perché le ricerche guardano alla cartina, ma il mondo è molto più complicato?

E, dando per scontato che quest’ultima risposta sia probabilmente la più corretta, quali sono gli elementi che impediscono però anche solo di “mettere insieme” tutti questi risultati e cercare di definire una politica che davvero provi ad incrementare i consumi culturali delle persone?

Il tempio romano scoperto a Sarsina, probabilmente è il Capitolium della città natale di Plauto. La promessa: sarà valorizzato.

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