giovedì 21 Settembre 2023

A furia di dirlo stiamo davvero trasformando la cultura in petrolio. Un concetto sbagliato.

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Breve riepilogo degli ultimi 20 o 30 anni. Ad un certo punto della nostra storia recente, l’Italia ha iniziato a comprendere che la cultura potesse rappresentare un patrimonio in grado di rilanciare anche l’economia.

Hanno iniziato a parlare di “petrolio”, che è sbagliato. Il petrolio è una risorsa che viene consumata. Certo, viene lavorata, viene trasformata, introdotta in processi industriali che generano economie più o meno lungo tutta la catena del valore. Ma poi viene bruciato. Consumato. Estinto.

Quello che resta della benzina che utilizziamo è, tendenzialmente, improduttivo.

Quello che resta dopo aver letto un libro, è un libro e una persona che l’ha letto.

La differenza è così chiara che viene da chiedersi come mai abbia attecchito un così grossolano paragone. Domanda cui ognuno di noi può autonomamente darsi una risposta.

Se ritorniamo, ad esempio, alla dimensione prettamente economica della cultura, è divenuta piuttosto diffusa la consapevolezza che oltre alle transazioni monetarie dirette o in qualche modo collegate, la cultura introduce all’interno dello scenario economico delle dinamiche che possono essere incredibilmente pervasive, contribuendo, in tendenza, allo sviluppo di interi territori.

A differenza delle prime, però, queste dinamiche non sono misurabili. Non che non siano evidenti. Solo difficilmente misurabili.

E questo è un gran bel problema, perché coloro che credono che la cultura sia il petrolio d’Italia credono, di conseguenza, che così come il valore del petrolio sia nel prezzo di scambio, anche il valore economico della cultura sia principalmente nelle transazioni in qualche modo riferibili a tale patrimonio.

In pratica, quindi, la nuova visione economica prevalente della cultura è tendenzialmente composta dall’insieme degli acquisti, dei consumi e delle fruizioni culturali (biglietti, ecc.), e dall’insieme delle spese turistiche che vengono registrate su un territorio che si ritiene ospiti visitatori nazionali ed internazionali attratti proprio dalla cultura che esprime.

Per farla semplice, quindi, il valore della cultura è dato dal numero di ingressi al Colosseo e dai soldini spesi dai turisti in alberghi, ristoranti, shopping e trasporti.

E qui il paragone con il petrolio, però, mostra il proprio limite più evidente.

Perché quale che sia la fine che faccia la cultura dopo essere stata consumata, non è che rientri proprio negli interessi dei petrolieri-culturali. L’importante è che il “giacimento” rimanga sempre sufficientemente ricco e produttivo, così da garantire un flusso quanto più costante possibile di transazioni.

Per intenderci, questa dimensione delle transazioni non dispiace a nessuno, ma sarebbe limitante auspicare un incremento di tali transazioni soltanto per la loro versione “nominale”.

Il valore aggiunto di queste transazioni, infatti, è anche funzione dell’incremento di consumo culturale, che a sua volta è (per parlare il lessico dei petrolieri) un fattore produttivo che poi può essere processato dalle persone per produrre ulteriore valore.

E ciò è vero non solo nell’immediatezza causale che lega un maggiore livello di istruzione ad una maggiore produttività e valore degli stipendi (entrambe le cose tutt’altro che dimostrate nel nostro Paese), ma perché una società con una maggiore cultura è una società in grado di interpretare meglio il proprio tempo, di trovare soluzioni a problemi ad oggi irrisolti, di produrre nuova cultura, e di creare un Paese, tutto sommato, migliore.

Certo, si tratta di elementi difficilmente misurabili. Non sono materia da sondaggi da presentare nelle slide del telegiornale.

Nella gestione della sanità, tuttavia, a nessuno viene in mente di applicare politiche che puntino sulle transazioni. L’obiettivo non è, in sanità, quello di incrementare il numero di persone che vengono operate. L’obiettivo è quello di far vivere le persone in condizioni di salute se non ottimali, quantomeno sufficienti, malgrado tali condizioni di salute siano difficilmente misurabili.

Invece nella cultura è diverso. E non si fanno che politiche culturali volte ad incrementare le transazioni. Nonostante sia palesemente stupido affermare che il valore di un libro sia quello scritto sulla quarta di copertina.

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