giovedì 21 Settembre 2023

Una poltrona per due (e più) al Ministero della Cultura: 22 stimoli per superare il poltronificio dall’era Franceschini a quella Sangiuliano

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Una poltrona per due. È vero. Natale è lontano. E con il Natale è anche lontana la programmazione, su Mediaset, del capolavoro che vede protagonista un esilarante Eddie Murphy e che inevitabilmente ci allieta durante i giorni in cui tutti i negozi sono vestiti in rosso e le case brillano di luci intermittenti.
No. Una poltrona per due, in questo caso, può più o meno assurgere a riepilogo di questo periodo di mandato del ministro Sangiuliano.
E no. Non è nemmeno da intendere come allusione ad una ipotetica condivisione della poltrona da ministro. Va piuttosto inteso come “problema aritmetico”. In questo senso, è chiaro, una poltrona, per due, fa due poltrone.

La moltiplicazione di poltrone e incarichi è infatti uno degli impegni che hanno visto Sangiuliano più coinvolto. E in questo senso, non si può di certo negare l’abnegazione e la dedizione con cui si è cimentato in questo compito, iniziando ad aggiungere nuove poltrone (Centro Sperimentale di Cinematografia – Riforma del Ministero) a poltrone già esistenti, o a crearne proprio di nuove (e che saranno evidenti quando alla Capitale della Cultura si aggiungeranno le altre Capitali di qualcosa che sono già state annunciate in occasione della dismissione del Bonus 18 anni).
Oltre a questo, probabilmente, il ministro è stato indefessamente attivo nel dichiarare che la cultura non è di sinistra, e nel voler affermare delle logiche sedicenti di mercato.
Ora, dopo anni di predominio assoluto dell’era Franceschini, l’ingresso nel Ministero della Cultura di una nuova sensibilità politica era promettente, soprattutto in una logica di adeguamento del nostro sistema culturale alle nuove condizioni di scenario.
Ad essere interessante, a dire il vero, era proprio quella visione meno ancien regime, della cultura: una cultura che odorasse di start-up, di idee imprenditoriali, di contaminazioni; che lasciasse vedere in trasparenza maggiori speranze per le imprese, una valorizzazione anche economica del nostro Patrimonio, la volontà di rendere i nostri musei, i nostri archivi, le nostre biblioteche, sempre più attente all’esperienza di visita.
In sintesi, una cultura attenta al concetto di sostenibilità economico, finanziaria ma anche sociale e consapevole del proprio ruolo sia in termini di sviluppo turistico, sia in termini di sviluppo territoriale. Una cultura che non fosse arroccata nella fortezza dei professoroni, e che rispondesse invece a logiche più intraprendenti, meno auliche ma più realistiche.
Nulla di tutto ciò è stato realmente visto.
Non c’è stata una reale emancipazione dei Musei Autonomi, le cui risorse umane restano indissolubilmente legate al Ministero. Non c’è stata alcuna evoluzione sulla valorizzazione della cultura, se non la previsione dei biglietti a pagamento per il Pantheon (che però è stata avviata da Franceschini). Non c’è stato un miglioramento sotto il profilo delle concessioni balneari, e non c’è stato un solo passo avanti sulla valorizzazione dell’infrastruttura dei trasporti (aerei e ferroviari).

L’unica vera mossa in questo senso è stata il pasticciato tentativo (assai anacronistico) di rendere esosa la pubblicazione delle immagini del patrimonio culturale, e forse, la volontà di rendere sempre più occasioni di marketing turistico le città designate Capitali della Cultura. Sono state invece approvate scelte in direzione opposta, che lasciano intuire una visione di cultura in cui lo Stato ha sempre maggior peso, talvolta subentrando in quelle attività che sinora hanno mostrato dei margini di miglioramento proprio grazie all’intervento privato (qualcuno si ricorda il maldestro tentativo di imporre un sistema di biglietteria statale ai Musei autonomi?).
Ciò detto, il mandato non è terminato. E fino a quando non sarà ora di fare bilanci finali, si può sempre sperare che le “semestrali” raccontino soltanto l’inizio di un percorso. Si può sperare, ad esempio, che il Ministro stia di fatto preparando una squadra per poter procedere in questo senso.

GLI AUSPICATI OBIETTIVI PER LA CULTURA

Ma gli obiettivi sono tanti, e il tempo diviene sempre meno.
E allora è forse il caso di fare un breve ripasso delle condizioni che sarebbe cosa buona e giusta raggiungere:
1) Maggiore autonomia dei Musei;
2) Una maggiore trasparenza in tema di incarichi alle società di gestione, con concreta verifica del rispetto delle condizioni contrattuali garantite ai dipendenti delle società esterne cui si rivolgono le Pubbliche Amministrazioni per l’erogazione dei cosiddetti servizi aggiuntivi;
3) La contestuale estensione dei potenziali incarichi a terzi, con la possibilità di dare in concessione a terzi anche le funzioni di Direzione Scientifica dei Musei;
4) La creazione di una carta di debito (o ricaricabile – su richiesta), che consenta agli italiani di poter gestire, attraverso di essa, tutti i pagamenti legati agli acquisti in cultura (senza troppe divagazioni su cosa sia cultura e cosa no);
5) Uno studio per portare in deduzione le spese sostenute in cultura attraverso tale carta;
6) Una riforma del sistema bibliotecario;
7) La creazione di una reale Biblioteca Nazionale;
8) La valorizzazione degli Archivi, e la loro concreta apertura al pubblico dei non addetti ai lavori;
9) Una sostanziale politica di stimolo alla fruizione culturale;
10) Incentivi alle imprese culturali e creative;
11) Inclusione, all’interno delle figure di pianificazione territoriale, di soggetti in grado di valorizzare il territorio attraverso la cultura (esclusi quindi soprintendenti o affini);
12) Aumento delle collaborazioni tra pubblico e privato che prevedano per il privato non solo un ruolo di mero esecutore, e che garantiscano a quest’ultimo una maggiore libertà di azione e più nel dettaglio che consentano al privato di poter investire in determinate aree territoriali o edifici per realizzare attività correlate alla cultura da cui trarre poi ricavi nel tempo;
13) Misure a sostegno della nuova creatività artistica esordiente, anche mediante l’incentivo all’acquisto di “prime opere” da parte di privati;
14) Incremento dell’export legato alla produzione culturale nazionale;
15) Definizione di politiche che agevolino l’attrazione di IDE per la Cultura sul territorio;
16) Inclusione delle industrie culturali e creative all’interno di Distretti Industriali specifici, da poter inserire anche all’interno dei centri urbani;
17) Adozione di regole che consentano di vincolare parte dei profitti privati e parte del gettito fiscale attribuibile al turismo a capitoli di spesa destinati a valorizzare il territorio da cui tali gettiti sono originati;
18) Sviluppo di una infrastruttura di trasporti adeguata;
19) Incremento di prodotti cinematografici realizzati per il pubblico, e non per i finanziamenti;
20) Sviluppo dell’industria del gaming;
21) Riconoscimento di specifici percorsi universitari volti alla creazione di “manager culturali”, cui attribuire poi un maggiore punteggio negli incarichi pubblici attinenti;
22) Facilitare l’accesso da parte dei giovani a posizioni decisionali che prevedano una reale conoscenza di tematiche che, un over 50, non potrebbe avere (ricordo che anche a 30 anni si fanno relazioni, non soltanto a 70).

E sicuramente chi legge potrà aggiungere ancora decine e decine di azioni che, pur non avendo un ruolo di consolidamento politico, sono in ogni caso percepite come priorità da chi fa realmente cultura sul territorio.
A ben vedere, sarebbe molto meglio se “una poltrona per due”, continui ad essere soltanto il titolo di un film, e non un programma politico.

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