giovedì 21 Settembre 2023

Quell’anfora in salotto appartiene alla comunità! Reperti archeologici in casa, che fare?

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Carissimi lettori, se possedete un’anfora, un ‘vasetto’ o una moneta antica, in salotto o nel cassetto, molto probabilmente state commettendo un reato. E neanche lo sapete.

La detenzione di materiale archeologico, infatti, è regolata dall’art. 91 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. 42/2004), che attribuisce allo Stato la proprietà di tutti gli oggetti di interesse artistico, storico e archeologico rinvenuti sottoterra o in mare dopo il 1909 (quando re Vittorio Emanuele III emanò la legge n. 364). Da quel momento in poi, possedere reperti archeologici è illegale, a meno che…

A meno che non siate in grado di dimostrare che il possesso è legale.

In questo caso, le possibilità sono 4: (1) lo possedete da prima del 1909 e avete foto, lettere o documenti che possano dimostrarlo; (2) lo avete regolarmente acquistato sul mercato autorizzato e avete quindi una ricevuta o magari il certificato d’acquisto di una casa d’asta; (3) lo avete ereditato, e potete provare che il vostro caro estinto lo possedeva legalmente (attraverso le modalità appena descritte); (4) lo avete ottenuto dallo Stato come quota parte del premio di rinvenimento in qualità di scopritori o di proprietari di un terreno che ha restituito materiale archeologico (artt. 90-93 D.Lgs. 42/2004).

In assenza di una di queste condizioni, vige l’art. 518 bis del Codice Penale, che prevede la reclusione da 2 a 6 anni e una multa fino a € 1.500. Oltre, ovviamente, all’alienazione del bene

A stabilire se il possesso è lecito sono i carabinieri, che svolgono attività di controllo e tutela del patrimonio culturale, mentre la Soprintendenza verifica che l’oggetto sia autentico e ne valuta il grado di interesse (da cui dipenderà l’eventuale proposta di vincolo).

Cosa conviene fare, dunque, se abbiamo un’anfora in salotto?

Se la possediamo legalmente, basterà fare una comunicazione alla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del territorio di riferimento allegando descrizione, foto e tutta la documentazione necessaria a dimostrare il lecito possesso. In questo modo il nostro bene sarà notificato e, in caso di controlli, avremo tutte le carte in regola.

Se invece la possediamo illegalmente, non tanto perché siamo accaniti ricettatori di beni archeologici, ma perché – si sa – “l’hanno regalata a mio nonno”, “l’ha data un pescatore a mio padre”, “l’ho trovata sistemando la cantina della casa di famiglia…”, la questione si complica e va gestita con lungimiranza (da tutte le parti).

In questo caso, infatti, non esiste una vera e propria procedura: la detenzione illegale è un reato e l’unica maniera per uscirne è sbarazzarsi del corpo (del reato). In che modo? Sostanzialmente autodenunciandone il possesso e restituendo il bene ai legittimi proprietari: lo Stato, ovvero l’intera comunità di cittadini (voi e noi compresi).

La cosa migliore da fare in questo caso, dunque, è rivolgersi alla Soprintendenza e coinvolgere il funzionario archeologo di competenza territoriale affinché si faccia carico della questione.

Sarà lui (o lei) a guidarvi nel percorso di “consegna spontanea” del bene detenuto.

Forse vi state domandando se, anziché in Soprintendenza (o al nucleo per la tutela del patrimonio culturale dei Carabinieri), potete costituirvi ad un museo, della vostra città o del vostro cuore, e consegnare il bene al direttore, sperando magari che lo esponga (con tanto di targa che ricorda il vostro dono). Questo, secondo la norma, non è possibile. Se il direttore accettasse in dono o in consegna un reperto detenuto illegalmente incorrerebbe nel reato di ricettazione, per cui è meglio evitare.

E allora, dopo esservi costituiti, pensate che forse potreste tenere voi in custodia il bene? In fondo era della vostra famiglia e ci siete affezionati. Anche questo non è possibile.

Una volta consegnato, il bene finirà nei depositi della Soprintendenza, insieme alle migliaia di cassette di cocci che occupano centinaia di metri di scaffali polverosi.

E allora chi ve lo fa fare di costituirvi e privarvi di un’anfora uguale ad altre migliaia di anfore che niente aggiunge alla conoscenza storica, ma anzi va a ingombrare ulteriormente i magazzini?

La risposta ovvia è perché appartiene allo Stato, in cui lo Stato però non è da intendersi come altro da noi, ma piuttosto come la comunità nella sua interezza.

Sono convinta che godere del patrimonio culturale sia un’opportunità di benessere per tutti i cittadini e credo anche che il futuro risieda nella condivisione sempre più ampia del nostro immenso patrimonio. Sarebbe bello pensare che se avete un’anfora in salotto significa che sentite un profondo legame con il passato e ne avete cura. Ma purtroppo sappiamo che non sempre è così, che un’anfora in salotto potrebbe più semplicemente rappresentare per alcuni un bene posizionale, uno status symbol ancora legato ad un uso ostentato dell’antico, con conseguenze catastrofiche spesso ignorate, come il saccheggio dei contesti archeologici, in questo caso i relitti, e la crescita del mercato clandestino che ancora oggi occupa il terzo posto nei traffici illeciti (alle spalle di armi e droga).

Garantire la tutela del patrimonio viene giustamente imposto dalla nostra Costituzione, ma senza la partecipazione dei cittadini sarà sempre una tutela monca e univoca. Varrebbe forse la pena ragionare tutti insieme per far sì che questo possesso trovi la via della legalità attraverso un adeguato sistema di leggi che punisca i trafficanti ma renda i cittadini custodi vigili e attivi della nostra eredità culturale?

Nota:

Le istruzioni delle Soprintendenze sul possesso di beni archeologici

Esempio di modulo di dichiarazione di possesso materiale archeologico alla Soprintendenza (cercare la Soprintendenza competente per territorio)

https://www.soprintendenzapdve.beniculturali.it/wp-content/uploads/2022/04/1.DENUNCIA-POSSESSO-MATERIALE-ARCHEO-1.pdf

Edit 11/8/23: le pene previste dal Codice Penale sono state aggiornate

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