Ci sono poche cose che amiamo come gli scontri. Ne abbiamo un evidente bisogno. Sono un elemento necessario per sentirci “parte”. Essere contro qualcosa significa essere parte di qualcos’altro.
Cambiano le forme, i modi, ma non cambia lo spirito di affiliazione, il senso di appartenenza, la goliardia da camerata.
Nulla separa, per stato d’animo, l’avversione tra romanisti e laziali e il rapporto tra la cultura alta e i consumi di massa.
Recentemente innescata dalle polemiche sui lanzichenecchi, la fazione degli “uomini di cultura” sta battendo, orgogliosamente, il tamburo di guerra sui propri giornali. Persone di cultura che stilettano gli avversari su giornali che soltanto persone di cultura leggono, come timidi bulletti da palestra.
E come un coro che quanto più si ingrandisce tanto più aggrega persone, anche il colto belato ha trovato terreno d’espansione. E ogni nuovo adepto individua nuovi nemici. I lanzichenecchi. I ragazzi che bevono e si drogano. Gli incolti. Gli autotuner. Gli overtourists.
Nelle colonne dei giornali non c’è ormai giorno in cui il gallo dell’antagonismo non canti fiero la propria appartenenza.
Se è giustissimo dunque difendere l’opinione di Elkann che ha condiviso con i propri lettori una propria visione del mondo, meno giusto diventa tuttavia essere tediati da persone che rimpiangono di non averlo detto prima e che adesso che qualcun altro ha avuto il coraggio di schierarsi, vogliono far vedere subito che anche loro la pensano così.
Ebbene, miei signori della cultura, dovete scegliere: o la cultura è un vangelo e voi i suoi testimoni, o la cultura è un dono e voi siete gli eletti.
Perché sono anni che la cultura adotta strategie di più o meno evidente proselitismo, e questi “lanzichenecchi”, come amate adesso chiamarli, sono dunque il vostro fallimento.
Per anni sui giornali non si è fatto altro che leggere di storytelling, engagement, commitment. E ora che qualcuno si scaglia contro coloro che dovrebbero essere oggetto di queste “pratiche di cui si è più scritto che fatto” nessuno che difenda.
Ma è comprensibile: condannare il tifoso dell’altra squadra significa attribuirgli la responsabilità della propria sconfitta. Il problema dunque non è nell’incapacità della cultura di coinvolgere, ma è nella volgarità del popolino.
Si può essere liberamente convinti di questa posizione. È legittima. Ma ci vuole il coraggio di affermarlo anche quando i fondi vanno verso il coinvolgimento della comunità.
Soprattutto, avendo nei confronti di quel popolo di lanzichenecchi, il rispetto che è giusto portare nei riguardi di chi finanzia la cultura elitaria. Perché se la cultura non è un bene per tutti, ma solo per pochi eletti, allora è giusto che a mantenerla, siano quei pochi eletti.
E tra gli hooligans in tweed, è più facile ci siano persone che guadagnano dalla cultura, piuttosto che la finanzino.
P.S. Espressioni come “signori della cultura”, “uomini di cultura”, non dovrebbero essere interpretate in una chiave sessista. Mai. Nel caso specifico, però, il così frequente ricorso a queste locuzioni è dovuto al fatto che i principali interventi in questa battaglia siano stati scritti proprio da uomini. Si preferisce indicarlo alla fine così da smascherare chi giudica un articolo senza averne letto per intero il contenuto, pratica assai diffusa, a dire il vero.
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