In ambito archeologico sono molte le attività che vengono poste in essere per sviluppare un maggiore coinvolgimento di cittadini e turisti: consapevoli del grande differenziale che sussiste tra ciò che è visibile e ciò che attraverso il visibile viene evocato, gli archeologi hanno nel tempo cercato di colmare questa differenza con tutti i mezzi a propria disposizione. Dalla realtà virtuale allo strumento più antico e potente di sempre, il racconto.
C’è tuttavia una componente dell’esperienza archeologica che raramente viene condivisa: lo scavo.
I motivi sono sicuramente molteplici, ma appare strano che uno dei momenti più emozionanti di tutto l’agire archeologico non sia stato oggetto di reali piani di valorizzazione.
Certo, è tecnica abbastanza diffusa quella di utilizzare lo “scavo simulato” per coinvolgere i visitatori più piccoli, ma sono pochi quei processi di valorizzazione che permettano ai visitatori di assistere alle attività di scavo, mostrando loro il “dietro le quinte”, e facendo vivere loro il “brivido” del possibile ritrovamento.
Riproporre uno scavo simulato per adulti sarebbe improduttivo, e non, come potrebbe a prima vista sembrare, perché palesemente “simulato”, o “infantile”, quanto piuttosto perché la certezza di ritrovare qualcosa renderebbe meno interessante partecipare a tale attività.
Differente, se vogliamo, potrebbe essere il caso di uno scavo simulato “incerto”, in cui il “tentare la fortuna” tipico di moltissimi giochi, potrebbe rappresentare una leva di partecipazione.
Al di là di queste potenziali estensioni, la partecipazione diretta, sotto forma di visita guidata, alle attività di scavo, potrebbe rappresentare una categoria di “esperienza culturale autonoma”, che potrebbe favorire la frequentazione anche di Siti di interesse archeologico meno noti.
Il coinvolgimento emozionale che tale attività potrebbe suscitare, infatti, potrebbe ad esempio far risultare più appetibile una visita partecipata in un’area “minore”, che una visita esclusivamente contenutistica in aree più note al grande pubblico.
Attenzione: non si sta in nessun modo suggerendo di attivare visite guidate durante le quali i partecipanti siano chiamati fisicamente a “scavare”. Al di là degli aspetti regolamentali, un’operazione di questo tipo potrebbe rivelarsi davvero molto pericolosa.
Si sta soltanto sottolineando che, tra tutte le attività culturali disponibili, lo “scavo” presenta delle caratteristiche distintive su cui si potrebbe far leva per stimolare visite in luoghi meno noti, e magari coinvolgere soggetti differenti dagli appassionati di archeologia.
Si tratterebbe di un fattore distintivo non da poco per l’archeologia, che, in un’epoca come la nostra, in cui l’elemento esperienziale è così desiderato, potrebbe rappresentare davvero un modo per divulgare non solo l’archeologia, ma anche una delle dimensioni archeologiche che godono di maggiore interesse da parte dell’intera cittadinanza.
Sicuramente un’attività di questo tipo è sottoposta a specifiche regolamentazioni. Ma i regolamenti, così come ogni altra forma del diritto, non sono perenni. Essi sono efficaci in un dato momento, sulla base di una data sensibilità, e sulla base delle tecnologie che, in quello specifico momento, sono disponibili.
Chiaro è che, tuttavia, tali regolamenti non cambiano da soli: per farlo, c’è bisogno di comprendere dapprima se c’è un interesse collettivo volto a riesaminare un determinato tema, e poi valutare se ci sono dei presupposti per poter apportare modifiche o meno alla regolamentazione esistente.
Bisogna in primo luogo comprendere se tale interesse esista realmente. E se non esiste, sarebbe opportuno chiedersene le ragioni.