sabato 3 Giugno 2023

Un libro per comprendere la comunicazione dell’archeologia: “Ritessere e Raccontare” di Silvia Pallecchi

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Per chi si occupa di comunicazione dell’archeologia e del patrimonio culturale in genere “Ritessere e Raccontare – Appunti sulla comunicazione dell’archeologia” (All’Insegna del Giglio, 2023), di Silvia Pallecchi, è un libro importante. La professoressa Pallecchi ha una notevole esperienza sul campo e nella didattica, occupandosi di metodologia della ricerca archeologica, ora all’università di Genova. Ha scritto testi introduttivi molto aggiornati sulle tendenze dell’archeologia del XXI secolo, per esempio “Archeologia delle Tracce” (Carocci, nel 2008). A quest’esperienza può però unire un approccio attento e continuo alla comunicazione dei suoi risultati scientifici e della disciplina archeologica in generale. Il suo “Raccontare l’archeologia”, figlio di un convegno del 2016 fu un primo punto di partenza, mentre Ritessere e Raccontare fa il punto sulla comunicazione “archeologica” alla luce dell’esperienza del post-Covid, alla fine di un periodo che ha costretto tutti a incrementare la comunicazione digitale o, addirittura, a metterla in cantiere per la prima volta.

Perché scriviamo che è un libro importante? Perché affronta con molta competenza e attenzione, attraverso la citazione di molti casi di studio, il problema della comunicazione dell’archeologia offrendo al lettore una solida base teorica, moderna e stimolante. Sia chiaro che non ci troviamo di fronte a un “manuale”, i casi di studio sono necessariamente destinati ad invecchiare in fretta nel sempre mutevole ecosistema digitale, ma la forza del lavoro di Silvia Pallecchi sta nella capacità di mostrare le innumerevoli connessioni che può generare una disciplina come l’archeologia, se legata al territorio, se partecipata con i cittadini e se attenta alle migliori esperienze che arrivano dall’estero. Il pregio più ragguardevole è tuttavia la rivelazione meno scontata: l’archeologia va comunicata con entusiasmo e con trasporto, con grande impegno e costanza, diremmo “senza paura”.

Il volume lo spiega con efficacia. Nessuna paura a comunicare a “cantiere aperto”, anzi. L’autrice ci segnala ovviamente le criticità a cui stare attenti, il dovere di un approccio professionale e programmato alla comunicazione di tutto ciò che è l’archeologia sul campo, ma costantemente ci convince, attraverso molti esempi – se fossimo anglofoni diremmo best practices – di quanto i vantaggi siano infinitamente superiori a problemucci e pastoie burocratiche.

E poi, quante strade per comunicare l’archeologia! Al di là dello scontato “storytelling” e delle necessarie azioni sui social media, il ventaglio che si apre è infinito: la penetrazione di molte fasce d’età (sempre di più) attraverso la gamification, la capacità di coinvolgere attraverso le esperienze dell’archeologia sperimentale e dei laboratori, all’aperto o nei musei; le occasioni offerte dal fumetto; la capacità di partecipazione generata dal crowdsourcing, il valore del volontariato in progetti vastissimi vicini alla citizen science  (e non del volontariato “supplettivo” per non pagare professionisti). Anche qui, i tanti termini in inglese non sono snobismo, ma necessità di rapportarsi con chi è molto più avanti di noi italiani in questo campo. Riconoscerlo è il primo passo per migliorare.

Quindi uno spunto (da qui il sottotitolo “appunti”) di riflessione teorica, scritto da chi conosce bene la materia archeologica e si è confrontata seriamente con le comunicazioni, plurali, che possono essere usate come strumento utile per archeologi, istituzioni e cittadini. Un passaggio a volo d’uccello, ovviamente non completo, ma ricco di nomi, spunti di approfondimento, il tutto in un quadro teorico che appare solido e aggiornato, anzi, concedeteci l’accezione positiva di “accademico”.

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