venerdì 26 Aprile 2024

“Una scoperta archeologica sensazionale”, la formula magica che non serve ai territori

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Chiunque si interessi, anche soltanto alla lontana, di archeologia, sa benissimo che le scoperte sensazionali, in archeologia, accadono quotidianamente. Un giorno in Egitto, l’altro in Turchia, il giorno dopo in Italia.

(Nota agli utenti: contatore visualizzazioni articolo parzialmente non funzionante).

Si susseguono con così tanta frequenza che molti editori stanno pensando di spostarle dalle pagine culturali a quelle di cronaca. Nonostante questo marasma di annunci e sensazionalismi, la maggior parte delle conoscenze archeologiche non viene trasmessa, ma resta nell’alveo degli appassionati o dei professionisti.

Una delle possibili ragioni di questa difficoltà è un’idiosincrasia tra ciò che attira l’attenzione e ciò che suscita interesse. Sembra un gioco di parole, ma non lo è affatto: guardando le notizie attira sicuramente più attenzione il ritrovamento di una nuova città scoperta sotto il deserto egiziano rispetto al ritrovamento di un piccolo mosaico in una piccola città. Allo stesso tempo, però, il ritrovamento in Egitto, pur avendo attirato la nostra attenzione, diviene un’informazione completamente decontestualizzata, troppo faticosa da ricordare, destinata a perdersi tra le milioni di ulteriori informazioni che non generano alcun tipo di nuova conoscenza.

Viceversa, la scoperta del piccolo mosaico nella città vicina alla nostra magari non ci fa nemmeno aprire l’articolo dal link di Facebook, ma se correttamente veicolato, potrebbe invece costituire un’informazione che si annida in altre informazioni analoghe, suscitando il nostro interesse. Questo ragionamento conduce dunque a quella che potrebbe apparire una banalità dal sapore qualunquista, e vale a dire che nessuna scoperta archeologica può essere più sensazionale della scoperta che l’archeologia e i suoi ritrovamenti sono proprio vicino a noi.

Si tratta di una dimensione troppo spesso sottovalutata, ma la maggior parte degli italiani vive nel raggio di pochi chilometri da un ritrovamento archeologico. Ciò significa che possiamo imbatterci in ritrovamenti o in siti di interesse archeologico nel tragitto casa-lavoro, o mentre andiamo con degli amici a prendere un caffè.

Certo, non è questa la prima volta che si solleva questa osservazione. Ma è anche vero che, in genere, quando si affronta il tema del coinvolgimento dei cittadini in archeologia, si tende ad osservare la questione da una prospettiva prevalentemente teorica, accademica, senza mai raggiungere un’operatività che possa superare le criticità che abilmente la riflessione teorica è riuscita ad enucleare.

Eppure, in molti territori, basterebbe una cosa semplicissima: una nuova segnaletica e un piano della comunicazione archeologica ai cittadini. Una piccola azione, che però possa aiutare le persone a percepire meglio alcuni aspetti del proprio territorio: una collaborazione con le testate locali, la pubblicazione di piccoli opuscoli, la creazione di segnaletiche un po’ più accattivanti, la creazione di piccoli video promozionali, ecc. ecc.

Un budget minimo, a livello comunale, da gestire anche attraverso fondi ministeriali, con cui iniziare a costruire, a partire dalla base, un nuovo rapporto tra archeologia e cittadini. Perché i musei si possono impegnare a creare engagement, le associazioni possono coinvolgere i cittadini, gli uffici didattici possono presentare offerte per le scuole, ma poi c’è sempre una parte di popolazione che non viene intercettata. E che magari potrebbe incuriosirsi nel vedere dei manifesti dedicati all’archeologia.

Perché ci sono sicuramente tantissime persone che non sono per niente interessate all’archeologia. Ma sono pochissime le persone che si disinteressano completamente di ciò che c’è nel proprio quartiere, nella propria città. Questo è un errore che troppo spesso è stato commesso: quando si sente dire, ad esempio, che i musei devono raggiungere “nuovi pubblici”, stiamo dando per scontato che il contenuto sia l’archeologia, e in questo senso le persone che non vanno mai in un museo appartengono alla categoria di un “nuovo pubblico”.

Se però spostiamo la nostra attenzione, e iniziamo a comprendere (e a comunicare) che quello che si genera attraverso la pratica archeologica non è archeologia ma sono contenuti geo referenziati la relazione improvvisamente cambia, e l’archeologia diviene un “nuovo contenuto” del territorio. Se capiamo questo aspetto, magari, smettiamo di lottare per avvicinare le persone con divulgazioni meravigliose che riguardano i ritrovamenti legati alle società pre-colombiane, e iniziamo a coinvolgere davvero i cittadini fornendo loro contenuti che possono suscitarne l’interesse.

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