sabato 20 Aprile 2024

L’archeologia invisibile del mecenatismo Made in Italy – Oltre il caso dei Corridori di Ercolano del MANN

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L’affaire Corridori di Ercolano, due bronzi meravigliosi del I secolo a.C. provenienti dalla Villa dei Papiri, che il Museo Archeologico Nazionale di Napoli (MANN) ha concesso in prestito alla maison Bottega Veneta, ha provocato soprattutto nella sponda più conservatrice degli addetti ai lavori critiche e pettegolezzi, degni delle più avvincenti soap opera.

Nei fatti, la casa di moda ha chiesto in prestito al Ministero della Cultura le statue dei Corridori per un’esposizione temporanea nel proprio spazio-eventi allestito in occasione della Fashion Week di Milano: le opere, motiva la maison, esprimono i valori dell’azienda, in continuo movimento dal passato al futuro. Il direttore generale dei musei e il direttore del MANN hanno accolto positivamente la richiesta, come prassi totalmente a carico del richiedente (trasporto, assicurazione, allestimento, ecc.), in cambio di un contributo di 20.000 euro per il museo di Napoli e nuove divise griffate per il personale. Se per qualcuno tutto questo è scandaloso, per altri può invece rappresentare un’opportunità da replicare.

Il legame tra archeologia e moda, nell’ultimo decennio, è andato sempre più consolidandosi grazie alle agevolazioni fiscali (Art bonus per le elargizioni liberali e deducibilità degli investimenti pubblicitari per le sponsorizzazioni), che hanno portato un’ondata di mecenatismo Made in Italy, che seppur ancora lontanissimo dalla modalità (e mentalità) americana, dove l’impatto dei privati è massivo, merita grande attenzione. Molte case di moda, infatti, non solo hanno legato la propria immagine a monumenti, luoghi d’arte e musei attraverso sfilate e set fotografici – per cui i più severi condannano l’utilizzo come “location” che porta alla mercificazione del bene pubblico (!) – ma hanno investito nella tutela e nella conservazione del patrimonio storico-artistico italiano con importanti sponsorizzazioni che hanno permesso di restaurare i maggiori monumenti del nostro patrimonio collettivo: il Colosseo (a cura Tod’s), l’arco di Giano e Fontana di Trevi (con Fendi), la scalinata di Trinità dei Monti (Bulgari), Boboli (Gucci), la Galleria Vittorio Emanuele (Prada e Versace), il ponte di Rialto (Renzo Rosso), la Torre di Norcia (Cucinelli) e molti altri.

In generale, quindi, le grandi case di moda hanno investito in maniera piuttosto strutturata nei monumenti italiani, per supportare un settore, quello della cultura in senso stretto, rappresentativo del nostro Paese ma spesso a corto di fondi.

Spesso sì, ma non sempre, perché quando si tratta di “grandi scoperte” il nostro Ministero i fondi li trova e li stanzia: 7 mln per il bellissimo anfiteatro di Volterra, almeno 5 promessi agli straordinari bronzi di San Casciano. Ma se un sito non è bellissimo e neanche straordinario, se rappresenta “semplicemente” la quotidianità del passato, memorie di secoli di storie di persone comuni che hanno vissuto il territorio prima di noi, di quei luoghi, di quelle “cose” chi se ne prende cura?

Va bene il Made in Italy, i luoghi simbolo, il sogno, le storie, l’amore, ma accanto a tutto questo, c’è un quotidiano, vero, che rischia sempre più l’oblio, che resta invisibile come invisibili restano le persone che hanno vissuto gli spazi di una fattoria etrusca, gli schiavi addetti alla produzione di anfore romane, i contadini, i soldati, tutte le persone comuni – come noi – le cui memorie materiali restano in un piatto di ceramica sbocconcellata, nel frammento di un bicchiere con inciso il nome del proprietario, nello stupore di una grattugia in bronzo utilizzata per insaporire il vino col formaggio.

Oltre ai luoghi simbolo e alle opere d’arte ci sono le persone, le donne, gli uomini e i bambini che nel corso dei secoli hanno mangiato in quei piatti, bevuto in quei bicchieri, indossato fibule in bronzo, impugnato spade di ferro, persone comuni che hanno utilizzato oggetti comuni prodotti per rispondere a necessità quotidiane e che oggi sono diventati i “reperti archeologici” di cui ci prendiamo cura. Siamo noi a dare “valore archeologico” a quegli oggetti, ai monumenti, ai luoghi delle memorie del passato.

E allora perché un mattone plasmato dalle mani esperte di uno schiavo rinvenuto in un’anonima villa dell’Etruria costiera vale meno del mattone utilizzato per costruire i muri del Colosseo?

Il mecenatismo, quello evoluto del III millennio, dovrebbe uscire dalla logica del simbolo e varcare la soglia della memoria, in cui le tracce materiali del nostro passato non rappresentano (solo) il Made in Italy, ma l’ingegno, la volontà, il coraggio delle persone che nel corso dei secoli hanno contribuito allo sviluppo e alla crescita della nostra società. Anche gli invisibili.

Il mosaico raffigurante Medusa al Parco di archeologia condivisa di Poggio del Molino (Baratti, Piombino)

Butto lì un’idea, per una volta “interessata” visto che chi scrive dirige il sito archeologico. Stiamo parlando dell’insediamento romano di Poggio del Molino a Populonia (Piombino, LI), che fu fortezza (come tante), fattoria per la produzione di salse di pesce (come tante aziende produttive dell’Etruria augustea) e poi villa d’ozio (come tantissime lungo la costa italiana), che conserva protetto dalla terra per mancanza di fondi un pavimento a mosaico con la raffigurazione di Medusa in tessere colorate di pasta vitrea. Perché non suggerire a Versace, che lega la fortuna della propria immagine al volto di Medusa, di contribuire al restauro di questo manufatto, lasciandoci così tutti di pietra?

SUL SITO DI POGGIO DEL MOLINO PROPONIAMO ANCHE:

Poggio del Molino, le tre vite di un sito archeologico. Da fortezza romana contro i pirati a villa con mosaici a Populonia (Golfo di Baratti – Piombino). VIDEO

 

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3 Commenti

  1. Il caso dei Corridori di Ercolano del MANN
    Gent. Dott.ssa Carolina Magale,
    per quanto potrà valere, condivido pienamente la sua tesi ed aggiungerei una considerazione: la bellezza dei reperti degli archeologi dialoga con la bellezza della produzione delle aziende italiane e, forse, spiega agli stranieri ed a tutti noi perché l’industri italiana eccelle in molti campi.
    Ringraziandola le porgo cordiali saluti.

    ing. Antonio Bettanini

    • Abbiamo dei problemi a caricare i commenti, nel frattempo usando il mio account le giro quanto mi ha inviato via mail Carolina Megale: “Caro Antonio,
      grazie per il contributo alla riflessione.
      Sono d’accordo, il nostro vero bene è l’ingegno che da secoli si traduce in strumenti di uso e di “bellezza”.
      Buona giornata,
      Carolina

    • Sempre in attesa di ripristino della funzionalità “commenti”, ci ha inviato una mail anche la signora Lisetta Giacomelli, che riportiamo qui di seguito: “Le opere d’arte dei musei italiani sono messaggio di bellezza nel mondo. Ma…cento affreschi di Pompei dal MANN a Bologna (23 settembre-19 marzo 2023; Bo-Na 3 ore e mezza di treno!) oltre a molti altri in restauro, in prestito in Italia e all’estero, un cerbiatto e una danzatrice dalla Villa dei Papiri a Roma; dall’Antiquarium di Ercolano in prestito uno dei cervi in marmo di Luni e l’Idra in bronzo, ecc. ecc. sono davvero troppi! Il MANN certe volte sembra vuoto… Ma, più di tutto, 20.000 euro!!! Per favore: era più vantaggioso farsi pagare con un paio di borse…”

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