martedì 19 Marzo 2024

Anche Minecraft tra i giochi appassionati di “archeologia”. Tra virgolette

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L’archeologia continua a conquistare gli sviluppatori di videogiochi. Dopo titoli che proponevano un’esperienza di gioco integralmente incentrata sulla pratica archeologica, da qualche settimana anche il gioco online più famoso al mondo, Minecraft, ha attivato una funzione archeologia. Certo, dal punto di vista scientifico Minecraft sta all’archeologia quanto ci sta Indiana Jones, ossia nulla.

Infatti, non si tratta, di una funzione di gioco rivoluzionaria, tantomeno didattica: banalizzando, infatti, si tratta di stanze segrete inserite all’interno delle Piramidi e sepolte da sabbia, all’interno delle quali è possibile identificare alcuni blocchi di “sabbia sospettosa”, spolverando i quali emergono “cocci”, che, uniti insieme, vanno a costruire altri oggetti.

Eppure, l’introduzione di questa funzione all’interno di questo videogame ha un valore tutt’altro che trascurabile, perché trasmette ad un target molto ampio di persone un elemento che trova il punto di forza, forse, proprio nella sua semplicità: grazie all’archeologia è possibile “scoprire” nuovi luoghi nascosti, all’interno dei quali è possibile individuare tesori, che esprimono il loro massimo valore se messi “insieme” ad altri tesori ritrovati. Certo, siamo sempre lì, Indiana Jones, tesori et cetera.

Un elemento cui prestare attenzione è, tuttavia, che il messaggio non viene in nessun caso espresso attraverso dichiarazioni o presentazioni: è insito all’interno della meccanica di gioco.

È presumibile che nel corso delle prossime settimane, sorgeranno molteplici dimensioni sull’importanza di questa introduzione all’interno del gioco, che guarderanno tuttavia soprattutto all’aspetto “quantitativo” della vicenda, puntando quindi l’attenzione su come, in questo modo, l’archeologia possa raggiungere un numero di utenti molto ampio (si tratta di un gioco che, a titolo di esempio, ha raggiunto un totale di 141 milioni di utenti mensili attivi).

Pur sottolineando l’importanza di tale elemento, tuttavia, un punto che forse dovrebbe ancor più interessare è la modalità attraverso la quale l’archeologia, o meglio quell’immagine di archeologia, viene rappresentata.

Non perché tale modalità di presentazione dell’archeologia sia necessariamente corretta (anzi, abbiamo visto che non lo è), ma perché tale modalità è stata quella selezionata da uno dei team di sviluppatori di contenuti online rivolti a quelle generazioni verso le quali il nostro sistema culturale mostra maggiori difficoltà di engagement.

Una condizione a partire dalla quale potrebbero emergere riflessioni che vanno ben oltre le riflessioni astratte legate alla relazione tra videogame e archeologia: “dirlo con i fatti e non con le parole”, infatti, potrebbe rappresentare un modello di divulgazione tutt’altro che banale, se applicato alla vita reale.

Alcuni laboratori didattici sono già costruiti in questo modo: la modalità dello scavo simulato è forse il concetto che maggiormente si avvicina a questa nitidezza di relazione tra l’azione e il messaggio. Tali attività si rivolgono tuttavia ad uno specifico target d’età, superato il quale, però, la dimensione “esperienziale” diviene di sempre più difficile trasferimento.

Si tratta però di una frontiera che è necessario indagare, perché in quest’epoca, contrassegnata dal ruolo egemone del “contenuto”, il vero bene “scarso” è rappresentato dall’esperienza diretta.

L’elenco di tutti gli anfiteatri romani d’Italia in video, prima puntata: Siracusa

 

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