venerdì 22 Settembre 2023

Storia e archeologia hanno bisogno di sporcarsi le mani. E non solo di terra o di polvere

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Le discipline che indagano il nostro passato ci permettono di acquisire una conoscenza che non è fatta soltanto di oggetti, di opere d’arte, o di grandi condottieri. Attraverso le fonti e i reperti, queste discipline sono chiamate a fare qualcosa di più: fornirci un quadro, il più possibile chiaro, delle società e delle persone che prima di noi hanno abitato il nostro pianeta.

Una tale conoscenza è poi chiamata ad arricchire la nostra visione del mondo, mettendo in discussione quei valori e quelle prassi che connaturano la nostra società, ed indagando quindi le nostre radici culturali profonde, incrementando la nostra consapevolezza, il nostro senso identitario, e arricchendoci come esseri umani e come cittadini. In questo senso, quindi, i risultati del lavoro archeologico e del lavoro storico, possono avere una forte valenza contemporanea, perché contemporaneo è chi ne legge e interpreta i risultati.

Il mondo storico e archeologico rispettano questa sorta di mandato costitutivo, sia nelle fasi di ricerca e di studio, sia nelle dimensioni più prettamente divulgative. Con riferimento a quest’ultima categoria di azioni, si sottolinea, tuttavia, che l’attività divulgativa tende spesso ad essere inquadrata all’interno di un determinato perimetro: il passato. Una zona di comfort naturale, perché è quello è il campo d’indagine di queste discipline, ed è quindi corretto che chi si occupa di passato diffonda informazioni e conoscenze legate al proprio specifico campo d’indagine.

Pur essendo corretta questa posizione, è però indubbio che da tale condizione deriva una specifica conformazione delle attività divulgative in queste discipline: una forma del divulgare che spesso si struttura all’interno di incontri specifici (singoli o suddivisi in cicli), spesso dedicati agli addetti ai lavori o agli appassionati, con relatori prevalentemente legati al mondo accademico, che approfondiscono determinati “periodi storici”. Forse un esempio può chiarire meglio il concetto.  Si pensi, ad esempio, al primo evento promosso nel calendario di Archeologia Viva.

L’evento, dal titolo “La nuova età del bronzo Fonderie artistiche nell’Italia post-unitaria (1861-1915) Patrimonio d’arte, d’impresa e di tecnologia”, si struttura in un convegno di due giorni che coinvolge differenti professionisti che indagano aspetti specifici del più ampio tema di riferimento. I relatori, la maggior parte di essi esponenti accademici, si intervallano nella presentazione di alcune ricerche e approfondimenti: “I bronzi artistici all’Esposizione Nazionale di Milano del 1881”, “Le fusioni di Medardo Rosso: l’utilizzo di nuovi metodi di scansioni 3D per comprendere il suo processo sperimentale di lavoro con la cera persa”,Lo stato miserevole nella quale la nostra città era caduta. Bronzi e fonderie nella Roma Preunitaria”, “Late-comer but fast-comer: la strada verso il decollo industriale italiano (1861-1914)” e altri interventi su questa falsa riga.

Ancora, si prenda il ciclo di eventi per la valorizzazione dell’area archeologica di Tifernum Mataurense, che si sono tenuti tra giugno e luglio del 2022:” C’era su internet “Percezione del patrimonio culturale ed archoeologico in rete da parte delle comunità e spazi di cooperazione”, “Dallo studio della terra storie di uomini: la geoarcheologia”, “Il progetto ‘La storia intorno a noi’: un esempio di archeologia pubblica tra Scuola e Università”.

È forse chiaro ribadire che questi incontri vanno benissimo così come sono e che aver riportato questi esempi, quindi, non vuole in nessun modo essere una critica, quanto piuttosto una ricognizione di una prassi che, chiunque abbia un minimo di interesse nei riguardi per la storia e l’archeologia, ha ben chiaro. Per quanto dunque la prassi sia “corretta”, è tuttavia innegabile che la divulgazione storica e scientifica, così come strutturata, si rivolga ad una determinata categoria di persone, alle quali vengono fornite “informazioni” e “conoscenza”, che coloro che presenziano all’’evento, possono assorbire e rielaborare.

A ben pensarci, però, l’attività divulgativa, in questa conformazione, ha poco a che vedere con quella già citata capacità delle discipline che indagano il nostro passato di mettere in discussione quei valori e quelle prassi che connaturano la nostra società, ed indagando quindi le nostre radici culturali profonde. Anche quando al centro della riflessione ci sono temi che riguardano il nostro presente, l’intera discussione è sempre sottratta alle dimensioni più quotidiane e tangibili, e il confronto si concentra sul “cosa ne pensavano”, “come ne pensavano”, “come percepivano”.

Ribadendo ancora una volta che le attuali forme della divulgazione storica e archeologica sono corrette, e non richiedono un completo ripensamento, si può tuttavia pensare di arricchire questa prassi consolidata con un altro modo di avviare la divulgazione. Non un convegno storico. Non un convegno archeologico. Ma un convegno sul presente, su temi su cui oggi, le persone, hanno difficoltà a prendere posizione, che si avvalga anche, ed è importante sottolinearlo, anche, della conoscenza che storici e archeologi possono apportare su quei determinati temi.

Ricorrendo alle notizie degli ultimi giorni, ad esempio, organizzare un incontro che affronti il tema del precariato lavorativo, invitando esperti di economia, esperti di diritto, esperti di politica (o anche politici), cui associare storici, e archeologi, che arricchiscano il dibattito apportando conoscenza su come, nell’antica Roma, o in altre civiltà, venisse trattato il tema del lavoro.

Un ciclo di incontri che affrontino dunque temi che spazino dalla stretta attualità – come l’immigrazione, la guerra, il mercato delle armi – o temi valoriali su cui la nostra società è spesso divisa – l’aborto, l’autoerotismo, la fluidità di genere, la genitorialità omosessuale,  l’eutanasia – o ancora temi che affliggono la nostra società e per i quali non ancora è stata identificata una concreta e univoca soluzione – le dipendenze, la gestione delle persone con disabilità psichiche e fisiche, la condizione degli anziani.

Poco conta se in una struttura di questo tipo gli interventi di storici e di archeologi possono avere un carattere residuale rispetto a quello degli altri professionisti. Perché al centro dell’incontro non ci sarebbe “lo storico”, quanto piuttosto uno dei ruoli che gli storici e gli archeologi perseguono attraverso il quotidiano esercizio della propria disciplina. Men che meno dovrebbe preoccupare l’elevata probabilità che nel confronto possano emergere posizioni divergenti, perché questo sarebbe in realtà il concreto valore aggiunto di tali incontri: presentare una modalità alternativa di confrontarsi su temi che riguardano il presente, proponendo un superamento del cattivo gusto dei talk-show televisivi, e promuovendo invece un confronto e un dibattito composto e centrato sui contenuti.

Potrebbe essere un modo interessante, questo, per trasmettere in modo concreto e tangibile l’importanza della conoscenza del passato. Sporcarsi le mani di presente, per poter avviare relazioni che non siano soltanto di tipo accademico, ma che aiutino ad affermare l’importanza degli storici, e degli archeologi, su tantissimi temi e su tantissimi tavoli ai quali, ad oggi, nessuno sente il bisogno di invitarli.

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