sabato 23 Settembre 2023

I dimenticati dopo la pandemia: l’Italia del precariato, della classe media schiacciata, dei professionisti emarginati.

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C’è un filo rosso che lega numerose storie, personali e collettive, nell’Italia dei post: post-ingresso nell’euro, post-crisi-finanziaria, post-pandemia. In particolare, la pandemia del 2020, e le numerose, drastiche e a volte efficaci soluzioni che sono state assunte dal Governo Italiano per evitare la diffusione del contagio, oltre ad aver avuto degli impatti diretti e concreti sulla vita di moltissime categorie di persone, hanno altresì esercitato almeno due ulteriori livelli di influenza sul nostro presente.

Il primo è senza dubbio l’effetto acceleratore, che rappresenta una delle dimensioni più note e richiamate della pandemia: è infatti innegabile che, proprio per rispondere alle nuove condizioni imposte dall’emergenza, il nostro Paese abbia vissuto un rapido susseguirsi di sperimentazioni, soprattutto di tipo tecnologico, e che queste sperimentazioni abbiano, nei fatti, anticipato di anni alcuni cambiamenti che, pur se previsti all’orizzonte, sembravano ben lontani dall’essere concretamente attuabili.

Il secondo livello è forse meno riconosciuto, e ha a che fare più con la dimensione “informativa”: l’effetto shock causato non solo dal lockdown, ma dalla contestuale chiusura di alcune delle principali rotte di produzione internazionale, ha fatto emergere in modo netto, condizioni che erano note da tempo, ma che era ancora possibile far finta di ignorare Oggi, con la spinta inflattiva sempre più evidente, sono molte le note dolenti di un sistema Paese che, per decenni, ha continuato a procrastinare scelte e azioni quanto mai necessarie.

Note dolenti che riguardano la nazione tutta, e il futuro economico, sociale e culturale del Paese.  Nel loro “I dimenticati – Coloro che non sono ripartiti dopo la pandemia”, i curatori Riccardo Noury e Luca Leone (Infinito Edizioni) affidano a penne note e meno note il compito di raccontare, ciascuno con il proprio stile, una parte produttiva e sociale del Paese che, negli anni, è semplicemente rimasta indietro. Una parte che non è fatta solo di emarginati, di quelli che siamo soliti riconoscere come sconfitti. Ma anche di professionisti, di attori, di laureati, di attori (i Giullari di Veronica Pivetti), di adolescenti che cercano di crearsi un futuro (Chieffo e Moriconi), e di coloro che, come gli anziani di Maraffiti, hanno tentato di fornire, nella propria vita lavorativa un valore aggiunto al proprio Paese.

I dimenticati di oggi sono tutte le persone che, un tempo, avrebbero popolato quello che qualche anno fa veniva chiamato ceto medio (Salvatore Giuffrida), e che tende sempre più a schiacciarsi verso i gradini più bassi della piramide sociale, per far spazio ad un vuoto che si chiama concentrazione della ricchezza, e che comporta l’incremento delle disuguaglianze in termini di reddito, di status.

In quest’Italia del Grande Precariato, la cultura è tutt’altro che assente. Sono i professionisti, laureati e dottorati. Sono gli archeologi, sono i conservatori di beni culturali, sono gli archivisti, i bibliotecari che, tra una cooperativa e l’altra, cercano di arrotondare lo stipendio andando a popolare le grandi catene di negozi che affollano i nostri centri storici o i centri commerciali. Archeologi al primo turno, commessi al secondo. Una versione molto più cupa di quel Dottor Jekyll e Mister Hyde che, al confronto, sembra quasi una favoletta per bambini.

I dimenticati è un libro che non parla di archeologia, né parla delle condizioni economiche dei precari della cultura. Ma è un libro che racconta una parte del nostro Paese di cui necessariamente bisogna tener conto.

Tener conto, però, senza nemmeno cedere all’ignavia. A differenza di ciò che accade per molte delle storie raccontate dal testo, il mondo della cultura è composto da persone che hanno risorse per trovare in questo equilibrio estremamente delicato, l’opportunità di avviare dei percorsi nuovi, perché questo mondo, che senza remore tutti si uniscono nel condannare, è pur sempre il risultato di una forma mentis che, però, in pochi vogliono davvero cambiare. Guardare con lucidità il problema è essenziale. Ed è la fase 0 di qualsivoglia emergenza. Ma dopo l’emergenza, dopo la messa in protezione, c’è bisogno di un processo evolutivo. Processo evolutivo che deve necessariamente partire da coloro che ne hanno bisogno. Perché chiedere di modificare una determinata condizione a coloro che, da tale condizione, traggono beneficio, è un esercizio che, nella storia, ha raramente condotto ai risultati sperati. Ogni precario o non precario della cultura dovrebbe leggere questo libro. Non per sentirsi meno solo. Ma per capire che di fronte ad una condizione così incerta, è forse meglio assumersi il rischio di un proprio fallimento, piuttosto che continuare ad attendere una soluzione che, probabilmente,  non arriverà mai.

Link utile:

https://www.infinitoedizioni.it/wp-content/uploads/2020/10/scheda-I-dimenticati.pdf

 

 

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