sabato 20 Aprile 2024

Una breve storia archeologica dell’umanità. Un frammento alla volta.

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Si può scrivere  una breve storia archeologica dell’umanità? Certo, un frammento alla volta. È curioso come due titoli si integrino perfettamente e compongano un quadro dell’archeologia del XXI secolo come quelli dei volumetti che Carocci e Il Mulino hanno mandato in libreria in questi giorni. “Breve Storia archeologica dell’umanità – Dalle origini alle civiltà preindustriali” (Carocci), non può che ingolosire a cominciare dal fatto che è scritto da Brian Fagan, il più brillante “scrittore di cose di archeologia” che ci arrivi dal mondo anglosassone. La co-autrice è Nadia Durrani, che da tempo scrive assieme a Fagan libri utilissimi ad un pubblico più vasto dei soli iniziati (odiamo il termine unidirezionale “divulgazione”). Fagan della scrittura a tempo pieno ne ha fatto un secondo mestiere, visto che è stato a lungo uno stimatissimo professore di Antropologia all’Università della California, ma si è ormai concentrato solo sullo spiegare l’archeologia nelle sue ampie sfaccettature e implicazioni. Con uno stile chiaro ma non stucchevolmente da “educatore”. Questa breve storia dell’umanità ha una visione “globale”, è accessibile e affronta la sfida di fare da introduzione di alcuni temi fondamentali per capire il nostro percorso nel tempo. Quindi i campi di ricerca sempre cangianti dell’evoluzione umana, gli itinerari della nostra specie fuori dall’Africa, l’uscita dall’era glaciale, l’agricoltura e l’allevamento, la formazione di villaggi, comunità, città, gerarchie, centri di potere. E poi la vastità dei centri di sviluppo delle grandi cosiddette “civiltà”, Africa, Asia,  Mesoamerica, Ande…

Sono poco più di 200 pagine condensate di spunti, dati, riflessioni e visioni. Aprono la mente, anche a chi l’archeologia la pratica già. Si tratta infatti della traduzione dall’inglese di World Prehistory, che fa parte della fortunata collana The Basic di Routledge. Che, per  chi non la conoscesse, rappresenta per molte discipline un punto di partenza introduttivo per corsi universitari nel Regno Unito e negli Stati Uniti, per autorevolezza e aggiornamento.

Italiana è invece un’altra meritoria introduzione, “Un frammento alla volta – Dieci Lezioni sull’archeologia” di Marcella Frangipane (Il Mulino), grande archeologa preistorica alla Sapienza. Gli argomenti che tratta sono in parte coincidenti, una riflessione sul ruolo dell’archeologia, sui suoi sviluppi e sugli scenari che può aprire. La professoressa Frangipane però condensa in questo illuminante agile libretto la sua lunga esperienza di scavo ad Arslantepe, in Anatolia. Patrimonio dell’umanità, testimonianza di importanti evoluzioni strutturali  (politico-sociali) del genere umano fin dal V millennio a.C.. Qui si ritiene sorgesse il palazzo pubblico più antico tra quelli finora conosciuti nella storia. Frangipane na fa il suo osservatorio, un vetrino da cui trarre conclusioni più generali, insomma un caso di studio di scoperte archeologiche paradigmatico per molti aspetti globali.

È un viaggio per frammenti, perchè è sui frammenti che gli archeologi costruiscono le loro ipotesi e i loro modelli. Ma sono frammenti profondi, ogni frammento è una “lezione” appassionata e competente. Illuminante, appunto. Anche qui, nessuna leziosità da divulgatrice, ma uno stile chiaro per offrire una visione non banale ai non “adepti”. I titoli delle lezioni-capitolo sono stimolanti: la nascita della famigla, delle disuguaglianze, anzi della disuguaglianza al singolare, del potere, quindi dello stato e della burocrazia. I pilastri  – volte fragili – su cui poggiamo noi contemporanei visti dai più contemporanei di tutti gli studiosi, ossia dagli archeologi.

E poi, scrivevamo del ruolo dell’archeologia: poco si sarebbe potuto fare ad Arslantepe – afferma Marcella Frangipane – se non fosse stato coinvolto anche il villaggio attuale turco di Orduzu. Perché l’archeologia, quella che conta e che serve a tutti, la si fa interagendo con gli abitanti e coinvolgendo le comunità locali .L’archeologia pubblica, scrive “è l’integrazione dello scavo archeologico nella realtà e nella vita quotidiana della comunità che vive intorno allo scavo e non solo di quella: è comunicazione dei risultati, disseminazione di conoscenza, coinvolgimento delle persone, che devono essere parte attiva in questo processo”.

Da leggere, accettare, capire e mettere in pratica. Grazie professoressa!

PROSSIMA RECENSIONE: “Quel che resta – Scheletri e altri resti umani come beni culturali” (Maria Giovanna Belcastro, Giorgio Manzi, Jacopo Moggi Cecchi (a cura di), Il Mulino

“L’archeologia classica trattata ingiustamente”. Mary Beard, l’intervista ad ArchaeoReporter: cancel culture, volontari, imperatori romani e scoperte italiane

 

 

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