venerdì 19 Aprile 2024

Come misurare il valore e gli effetti della cultura? Ecco alcune idee

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Se stimare è impossibile, tanto vale misurare l’approssimabile. Come molte volte è stato detto, misurare, in toto, gli impatti della cultura è un’attività estremamente arbitraria. Un’azione che prevede, in altri termini, una serie di scelte che, per quanto attendibili, hanno comunque un certo grado di apriorismo.

Ciononostante, è noto che la cultura generi degli effetti positivi sul territorio. Per quanto siano di difficile “individuazione analitica”, la differenza tra un territorio in cui c’è un’industria culturale dinamica e quella tra un territorio che non ha nemmeno una biblioteca esiste. Esiste nel livello di scolarizzazione, nel tasso di autoimprenditorialità, nella qualità della vita delle persone, nella qualità del tempo libero e dei consumi. Esiste nel numero di imprese attive nei settori culturale e creativo, e nel livello di offerta in termini di teatri, musei, biblioteche.

Piuttosto che individuare criteri sempre nuovi, definiamo un criterio di misurazione dell’esistente. Restringiamo il campo di indagine a dimensioni certe, che vengono già misurate per tantissimi motivi diversi.

Annotiamoci su un taccuino quanti e quali luoghi della cultura siano presenti su un dato territorio, e stiliamo una lista di tutte le statistiche già disponibili.

Poi decidiamo, arbitrariamente, senza nessuna volontà di verità universale, quali sono le azioni mediante le quali il settore culturale può creare degli impatti sul territorio.

Aboliamo le differenze ministeriali e prendiamo in considerazione non soltanto i musei, ma anche le università, le scuole, i PON (Programma Operativo Nazionale).

Come incide l’università sul territorio? Con il numero di laureati che, nei 12 mesi successivi alla laurea hanno trovato lavoro nel territorio in cui l’università risiede. Con il numero di spin-off. Con il numero di start-up in cui sono presenti propri ricercatori.

Come incidono i musei? Con il numero di mostre e di visitatori. Con il numero di laboratori didattici e con il numero dei propri partecipanti. Con il numero di eventi e con il numero dei progetti di partnership con le imprese del territorio.

Sono tutte riflessioni che sono state fatte innumerevoli volte. Dai primi indicatori per misurare quello che a quei tempi si chiamava “indotto”, a quello che in tempi più recenti si è chiamato SROI – Social Return On Investment.

In queste riflessioni abbiamo maturato una conoscenza puntualissima. Il problema che si incontra, però, ogni qualvolta si cerchi di misurare l’impatto della cultura, non è nello di stabilire quali variabili misurare. È quello di dare a quelle variabili il giusto valore.

Allora non resta altro da fare che “approssimarlo” quel valore, non sulla base di un’ipotesi, ma sulla base di un calcolo retroattivo.

Prendiamo 30 città. Misuriamo quello che sappiamo di poter misurare. Definiamo da un lato le variabili che si ritiene possano avere un impatto sul territorio e dall’altro le variabili che dovrebbero mostrare quali siano questi impatti.

Misuriamo queste due linee di dati per 3 anni. Costantemente.

Poi facciamo le somme. Guardiamo cosa è successo.

E cerchiamo di capire, ad esempio, se ci siano o meno relazioni tra il livello di imprenditorialità dei giovani tra i 25 e i 35 anni di una data città e il livello di corsi gratuiti per start-up forniti dalle università.

Crediamo che una variabile possa generare un impatto sulla vita delle persone? Quella variabile può essere misurata? Si può misurare l’eventuale impatto aggregato?

Bene. Non teorizziamo. Definiamo quali sono le dimensioni ad oggi. Misuriamo quali saranno le medesime dimensioni tra tre anni.

Il problema dei nostri progetti è che prevedono un importante finanziamento iniziale ed un nullo finanziamento di medio periodo.

Così, tutti i progetti di ricerca UE finiscono con il definire un modello di misurazione che però non può essere applicato per un periodo di tempo sufficientemente ampio.

Bisogna quindi cambiare approccio. Capire chi possa avere dei “vantaggi” nel mantenere così tanto tempo attivo un progetto, senza che ciò implichi un dispendio esorbitante di denaro pubblico.

E chi sono i soggetti che realmente potrebbero essere interessati a monitorare un tale set di indicatori? Semplice.

Sono i Comuni, che possono rendere ad esempio semplice e obbligatorio mantenere un registro di tutte le attività che vengono ritenute di interesse per la misurazione.

Un museo intende realizzare una giornata di incontro tra genitori e insegnanti per favorire lo sviluppo di modalità educative trasversali? Benissimo. Per farlo, deve obbligatoriamente promuovere, gratuitamente, tali attività su un Sito dell’Amministrazione Comunale.

Una nuova associazione si vuole inserire all’interno del territorio? Benissimo. Necessita di avere una propria pagina sul Sito dell’Amministrazione Comunale, dalla quale poter poi promuovere tutte le attività che tale associazione tenderà a realizzare.

È un costo organizzativo aggiuntivo per le singole organizzazioni? Probabilmente si, ma è un costo che verrebbe ampiamente ripagato attraverso la possibilità di pubblicizzare le proprie iniziative su un sito che, così come immaginato, avrebbe di certo un buon numero di visualizzazioni.

È un costo organizzativo aggiuntivo per le Pubbliche Amministrazioni? Probabilmente si, ma è un costo che viene ampiamente ripagato dalla disponibilità di informazioni sulle attività in essere nel proprio territorio. Così come viene ripagato dalla possibilità di richiedere, alle organizzazioni, una partnership per progetti specifici. Viene, infine, ripagato, dal fatto che il Comune sta esercitando un proprio dovere costitutivo, promuovere la cultura, la formazione e la qualità della vita dei propri cittadini.

Se non facciamo così, rischiamo di spendere ancora non si sa quanti milioni di euro in ricerche accademiche, che strutturalmente non possono fornire i reali risultati.

Prendiamo atto che la cultura non è un topic che può essere misurato in termini di “azione” e “reazione”. Non è che se stimo l’ex-ante, posso realmente prevedere quali saranno i risultati ex-post.

Certo, aprendo contemporaneamente 1000 scuole pubbliche di musica in cui vengono impartite lezioni gratuite per i bambini dai 4 ai 10 anni in una piccola città, è piuttosto lecito immaginare che emergano delle influenze musicali importanti. Il punto è che per quanto lecito, questo risultato è tutt’altro che certo.

Quindi limitiamoci a vedere quello che succede. E nel frattempo immagazziniamo i dati e sviluppiamo nuova conoscenza.  Nella peggiore delle ipotesi, tutte le organizzazioni culturali di un dato territorio potranno disporre di un canale promozionale gratuito aggiuntivo.

Non pare un costo così insostenibile.

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