venerdì 26 Aprile 2024

Statua di Ercole dell’Appia Antica, “salvata” dalla sorveglianza dell’archeologia preventiva

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La statua di Ercole, a grandezza naturale, in marmo. L’ultima scoperta archeologica, quella di cui tutti parlano nel Parco dell’Appia Antica, avviene grazie all’archeologia preventiva, al Parco Scott, in un luogo che – comunque – definire ad “alta densità archeologica” sarebbe poco, durante i lavori  di bonifica di un condotto fognario da parte del Gruppo Acea, con Bacino sud SRL.

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Bisogna ringraziare da un lato la legislazione, dall’altro l’archeologa veloce nel capire che la pietra incontrata durante i lavori non era una pietra, ma qualcos’altro. Perchè quello è un luogo dove, in teoria, ormai non ci sarebbe dovuto essere più nulla: un reinterro a circa 20 metri di profondità di vecchi lavori, degli anni Sessanta del XX secolo. Era addirittura sotto il piano di scorrimento della fogna, nella terra gettata come base della stessa, cosa che fa pensare che, più di mezzo seolo fa, sia stata in qualche modo intercettata dai lavori e poi ributtata sotto. Dopo decenni, per fortuna, le cose sono un po’ diverse, e l’archeologia preventiva guarda anche dove, in teoria, non dovrebbe esserci più nulla. E, come è capitato altre volte nella stessa Roma, anche di recente, i lavori hanno trovato quello che altri lavori…avevano trovato prima, ma si erano ben guardati dal farlo presente (se vogliamo pensar male), oppure, semplicemente, non si erano accorti di nulla (se vogliamo pensar bene).

A chi parla di rotture della statua “per colpa” della benna, rcordiamo che anche il “tesoro di Como” venne intercettato dalla benna, con una rottura del contenitore. Meglio intercettarlo, con rotture sanabili, che averlo interrato e ignoto per sempre. Conoscere la situazione, il cantiere, le modalità operative, forse può aiutare a non muovere accuse gratuite e non informate. Difficilmente in uno scavo “già scavato” in un cantiere non si usa la benna. Uno sguardo alla foto qui sotto potrebbe bastare.

Statua di Ercole sull’Appia (Parco Brown), il cantiere del ritrovamento in profondità

Riportiamo, per completezza, quanto scritto dal Parco Archeologico: “il collassamento della vecchia conduttura, lesionata in più punti, aveva portato nei mesi scorsi all’apertura di pericolose voragini e a smottamenti della collina. Si era quindi resa necessaria la sostituzione dell’impianto fognario ammalorato. Durante le operazioni di demolizione, all’interno della trincea eseguita nel secolo scorso per la posa in opera del vecchio condotto, è stata recuperata una statua marmorea a grandezza naturale che, per la presenza della clava e della leontè – la pelle di leone che ne copre il capo – può senz’altro essere identificata con un personaggio in veste di Ercole.
La scultura non era in giacitura primaria ed era priva di dati stratigrafici utili per la sua datazione.
I primi confronti iconografici inducono a identificare il personaggio in veste di Ercole con l’imperatore Gaius Messius Quintus Traianus Decius, meglio noto come Decio Traiano, che regnò dal 249 al 251 d.C., quando venne ucciso, insieme col figlio Erennio Etrusco, nella battaglia di Abrittus tra Goti e Romani.
Il volto, seppur corroso, sembra condividere con i ritratti ufficiali di Decio le “rughe da ansia”, che richiamano la ritrattistica romana repubblicana ed erano finalizzate a rappresentare la preoccupazione per le sorti dello Stato, virtù valutata molto positivamente nelle alte cariche dell’impero. Altri tratti caratteristici sono il trattamento della rada barba e la morfologia di occhi, naso e labbra”.

Senz’altro un punto fondamentale è formulare ipotesi su  quale potesse essere la posizione originaria della statua e per quale motivo sia finita lì: pronta per essere trasformata in calce una calcara? Rimossa dopo la morte dell’imperatore? Alla fine, comunque, ci ha pensato l’archeologia preventiva a “recuperarla”.

EDIT del 5 febbraio: un paio di commenti sulla nostra pagina FB fanno notare con una certa veemenza che questa non sarebbe “archeologia preventiva”. Se vogliamo guardare il capello, spaccarlo in quattro, analizzarlo e passarlo al microscopio su un vetrino, hanno anche ragione dal punto di vista burocratico-formale. Ma continueremo comunque a chiamarla “archeologia preventiva” in senso lato perchè non c’è dubbio che questa sia la cornice, quella di tutela dell’archeologia e del suo contesto, a cui vogliamo fare riferimento anche nei riguardi di un pubblico non-specialista. A livello comunicativo non possiamo, non dobbiamo, non vogliamo fare un titolo con “sorveglianza in corso d’opera” e altri avvitamenti da normativa, che vengono giustamente trattati efficacemente nei gruppi specializzati. Sarebbe respingente e non porterebbe nulla di più al nostro obiettivo. Non possiamo utilizzare termini ghettizzanti, l’archeologia compie fin troppo spesso questo errore, che non è veniale.

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