venerdì 19 Aprile 2024

Musei, oltre alle classifiche dei visitatori bisogna pensare a strategie per il territorio

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Oltre il museo, il territorio. Le classifiche di “visitatori” dei musei durante specifici eventi lasciano sempre un po’ il tempo che trovano: si trattava di turisti? Di cittadini? Di persone che non erano mai state in quei musei? Stavolta però c’è un elemento interessante: perché i dati diffusi dal Ministero dividono le città italiane in due:

1. Quelle polarizzate (Caserta, Pompei, ecc.) in cui c’è un solo luogo che, di fatto, attrae visitatori e turisti.

2. Dall’altro lato ci sono città come Roma, Napoli e Firenze in cui sono presenti numerosissimi monumenti e musei, al punto che come recentemente pubblicato dal Ministero, tali città contano rispettivamente, 5 (nel caso di Roma e Napoli) e 4 (nel caso di Firenze) Siti che compaiono nella lista dei luoghi più visitati.

Tralasciando, dunque, i commenti relativi al numero di visitatori, questa “classifica” permette di puntare l’attenzione su aspetti che, seppur ben noti, non di rado vengono invece sottovalutati. Tra tutte le tematiche, di centrale rilevanza in termini di sviluppo territoriale, inteso sia in senso culturale e sociale, che nelle accezioni più prettamente economiche e di gestione della polis, è l’evidenza che alcune delle nostre città, a differenza di altre, presentano un patrimonio culturale unitario e che spesso tale condizione si mostra essere tutt’altro che incentivante per lo sviluppo di un’offerta culturale in grado di rispondere alle esigenze dei cittadini e dei turisti.

Di fatto, e non c’è bisogno di richiamare esempi noti, ciò che spesso capita è che la presenza di luoghi internazionalmente noti crei dei fenomeni di “isolamento”: da un lato perché si soffre di un certo timore reverenziale, dall’altro perché frequentemente l’esigenza di “arricchire” tale patrimonio con un’offerta attuale (e il termine contemporaneo è volutamente omesso), non viene nemmeno percepita.

Ciò però porta alla conformazione di “invertite” cattedrali nel deserto: se qualche anno fa questo termine era molto di moda quando si voleva indicare la costruzione di un edificio realizzato senza tener affatto conto del contesto di riferimento, nei casi delle “cattedrali invertite”, ad essere completamente avulso non è tanto l’edificio, quanto il tessuto urbano sorto o sviluppatosi attorno ad esso.

Pur non essendo tali condizioni affatto ignote a chi si interessa di cultura, è tuttavia singolare notare come queste tematiche vengano spesso affrontate esclusivamente attraverso la logica della dimensione “commerciale”. Si fa dunque riferimento alle “perdite” derivanti dall’indotto del patrimonio culturale, e ci si concentra soprattutto sui flussi turistici, evidenziando come tali flussi rimangano sostanzialmente estranei al territorio.

Raramente, invece, queste evidenze sollevano riflessioni relative allo sviluppo culturale di un territorio, come se la presenza di una superstar del Patrimonio Culturale sia automaticamente in grado di soddisfare le esigenze culturali dell’intero territorio.

Condizione che rappresenta, in buona sostanza, un concreto esempio di contraddizione in termini, perché uno dei trend che maggiormente caratterizzano la fruizione culturale in Italia vuole che chi “fruisce cultura” tenderà a fruirne in misura crescente, nel rispetto, chiaramente, dei vincoli economici e temporali e tenendo in considerazione le alternative disponibili, i vincoli di attenzione, e il rapporto tra costi e benefici marginali.

Si tratta di un comportamento piuttosto intuitivo: se un individuo percepisce come beneficio la sensazione collegata ad un determinato tipo di consumo (che si tratti di visitare musei o di interagire online sui social network), tenderà a dedicare parte del proprio tempo a quest’attività, nei limiti del tempo a disposizione (risorsa sempre più scarsa), dei vincoli economici, della capacità di attenzione (se c’è un consumo che richiede molta attenzione, la capacità di mantenere alta la concentrazione può risultare un vincolo più “stringente” rispetto a quello temporale), e sin quando il rapporto tra costi e benefici che tale individuo associa ad un determinato comportamento tenderà a generare benefici maggiori dei costi.

In effetti, leggo con piacere (beneficio) fin quando non sono troppo stanco (costo).

Pertanto, se i cittadini ritengono che trascorrere del tempo in un museo o in una galleria d’arte generi loro un beneficio, allora, nel caso in cui siano presenti più di un luogo culturale, è possibile che tendano, in un intervallo di tempo sufficientemente ampio, a visitare entrambi.

Vien dunque da chiedersi quali possano essere le ragioni che hanno impedito lo sviluppo, in determinati territori, di un’offerta culturale complementare.

Tra le varie ipotesi possibili, non è da sottovalutare quella che lascia derivare lo scarso sviluppo di offerta culturale dalla constatazione che molti dei visitatori dei nostri musei siano sostanzialmente turisti, e che, pertanto, non “perderebbero” tempo a visitare luoghi che, pur volendo avere degli standard elevati, non potrebbero mai competere con altri siti star presenti nel nostro Paese.

E qui che si manifesta in modo più diretto la confusione tra il concetto di “economico” e il concetto di “commerciale”, quando si parla di cultura. Una logica economica, infatti, adotta strategie per favorire lo sviluppo del territorio, e in questo senso, la cultura e il nostro patrimonio culturale possono avere un ruolo importantissimo. Osservando alcuni dei nostri territori, invece, vien quasi da pensare che a volte tutto si riduca in staccare biglietti e vendere pop-corn.

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