domenica 4 Giugno 2023

Cultura, archeologia e persone con fragilità: l’importanza dei Big Data

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di Carolina Megale e Stefano Monti

Una delle frontiere più interessanti dell’analisi degli impatti che la fruizione culturale può generare sulla vita delle persone è senza dubbio quella che riguarda i benefici che la fruizione culturale può avere su persone che presentano condizioni di particolare fragilità. Il tema, che è stato affrontato in modo corposo dalla letteratura, si scontra tuttavia con uno dei pilastri su cui, in modo quasi impercettibile, si fonda gran parte della nostra struttura sociale e, soprattutto, sanitaria: il riscontro statistico.

Big-data, fragilità e cultura

Si tratta di un argomento piuttosto ostico da trattare, a causa della natura prevalentemente tecnica con cui è stato sinora affrontato, e che, nei fatti, ne ha limitato il dibattito, relegandolo in una “nicchia di ricerca”. L’importanza del tema è però tale che ben val la pena tentare di semplificare la questione, rimandando poi a più strutturati approfondimenti.

Stante queste premesse, il tema può essere più o meno inquadrato in questo modo: sappiamo che la fruizione culturale può generare, in alcuni casi, un’influenza positiva su determinate categorie di persone. Al contempo, però, non ci sono sufficienti evidenze statistiche che possano suffragare tale affermazione.

Queste due condizioni in genere conducono ad una specifica linea di azione: incrementare il numero di “osservazioni”, per poter raggiungere una maggiore conoscenza. In questo caso, tuttavia, il problema si struttura in modo un po’ diverso, perché la problematica principale non è tanto legata al raggiungimento di un determinato “numero di soggetti” (dopo il COVID siamo tutti più o meno avvezzi a questa tematica), quando piuttosto identificare i soggetti per i quali essere parte attiva (come suonare uno strumento musicale) o passiva (visitare una mostra) di un’esperienza culturale può apportare, in modo statisticamente rilevante, ad un qualsivoglia miglioramento delle condizioni psico-fisiche della persona.

Perché la cultura non è, né potrebbe mai agire, come un farmaco. Essa agisce positivamente sull’intera persona, coinvolgendo sia stimoli fisici che psicologici, e questo incrementa notevolmente le variabili da prendere in esame per poter attribuire una causalità diretta.

In altri termini, stando le attuali condizioni, sarà estremamente difficile, se non impossibile, poter affermare che la fruizione di una mostra surrealista può favorire il benessere psicofisico di una persona che soffre di determinate patologie, come ad esempio patologie di natura psichica.

Eppure, che la fruizione culturale possa rappresentare un valido stimolo e, in determinate circostanze, che possa essere associata ad un incremento del livello di benessere percepito, sono evidenze ben riconosciute.

Pur nella loro semplicità, queste affermazioni sono tuttavia sufficienti a definire una serie di conseguenze che dovrebbero probabilmente essere più presenti all’interno del dibattito culturale.

La prima è che, sin quando lo sviluppo scientifico non sarà in grado di definire, secondo criteri che possano essere condivisi dalla comunità scientifica, le modalità attraverso le quali la fruizione di cultura generi impatti sulla nostra vita, anche solo la possibilità che la fruizione culturale possa generare effetti positivi dovrebbe in ogni caso spingerci ad incrementare, il più possibile, tale fruizione, anche e soprattutto da parte di quei soggetti che non sono in grado di scegliere autonomamente di “visitare un museo”.

La seconda è invece legata alle modalità di sviluppo scientifico: il numero delle dimensioni da tenere in considerazione in questa riflessione potrebbe indurre a valutare l’utilizzo delle nuove tecnologie in termini di raccolta ed analisi dei dati. Questo significa, in altre parole, favorire l’approfondimento delle tecnologie legate ai cosiddetti Big-Data, che sono queste enormi masse di dati che vengono sottoposte ad analisi attraverso specifiche tecnologie e che possono fornire “visioni” differenti rispetto a quanto potrebbe essere osservabile dalla relazione diretta.

Una linea di questo tipo, tuttavia, può essere concretamente perseguita soltanto se si inquadra all’interno di una dinamica di investimento da parte dei soggetti che potrebbero potenzialmente finanziarla: produttori di software e case farmaceutiche.

Con loro, ad esempio, sarebbe possibile sviluppare strumenti e protocolli di lavoro finalizzati alla raccolta dei dati, condizione che sicuramente dovrebbe essere condotta secondo criteri di rispetto della privacy. Questo è un tema estremamente importante, perché protocolli e strumenti sarebbero efficaci soltanto nella misura in cui fossero globalmente condivisi, e questo comporterebbe un tendenziale monopolio di informazioni sensibili, e questo solleva delle valutazioni etiche importanti che andrebbero sicuramente affrontate.

Le informazioni cui tali soggetti accederebbero, tuttavia, permetterebbero lo sviluppo non solo di una conoscenza molto più approfondita del fenomeno, ma darebbero accesso anche ad altre informazioni utili, ad esempio, per lo sviluppo di farmaci per altre patologie estranee al rapporto tra cultura e salute.

In questa tematica l’archeologia potrebbe avere un ruolo molto importante: la fruizione archeologica, infatti, anche soltanto intuitivamente, presenta alcune caratteristiche specifiche che potrebbero essere di estremo interesse, come la presenza di oggetti che possono rivelarsi in qualche modo familiari, o la fruizione come elemento di socialità (variabile che incide positivamente su determinate categorie di persone) e all’area aperta (altra variabile che indice positivamente su determinate categorie di persone).

Riuscire a definire una collaborazione tra aree archeologiche internazionali, soggetti privati disposti ad investire nel progetto, e soggetti pubblici, come investitori e come supervisori dell’utilizzo dei dati, potrebbe sicuramente favorire non solo la comprensione di alcune dinamiche ad oggi ancora poco note, ma anche la fruizione culturale in sé, a prescindere dalle eventuali fragilità.

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