Facciamo un breve punto sulla situazione: siamo nel 2022, e da qualche tempo, seppur con alti e bassi, c’è un tema che riappare quando si pensa al futuro della fruizione culturale. Questo tema, che è noto ai più con il termine “metaverso”, è un tema che comprende moltissime tecnologie, che vanno dalla ricostruzione 3D di edifici esistenti (digital twin), alle modalità di integrazione tra il mondo reale e quello digitale (extended reality), fino alle applicazioni di tipo hardware, vale a dire gli strumenti che consentano di poter rendere realmente fluido il passaggio da un “mondo” ad un altro.
Di fatto, il metaverso è un insieme molto articolato di elementi e tecnologie che, partendo dalle esperienze già oggi esistenti, si articolano in differenti direttrici al fine di poter generare un universo unitario, in cui non solo reale e digitale siano perfettamente interconnessi, ma in cui siano perfettamente interconnessi tutti i mondi digitali con una propria “struttura interna”.
Anche se nei fatti è molto più complesso di così, in realtà, quello che preme sapere, ai fini di questa riflessione, è che se da un lato il metaverso, così come precedentemente illustrato, è ancora ben lontano dall’essere realizzato, dall’altro abbiamo numerosi universi virtuali in cui persone fisiche, popolando un mondo digitale, interagiscono attraverso avatar e conversazioni vocali di gruppo.
Ne esistono, a dire il vero, molteplici tipologie: quelle che hanno goduto di maggiore eco mediatica sono sicuramente quegli universi come Decentraland che sono divenute oggetto di interesse anche da parte del mondo culturale, che in tali universi ha costruito musei, gallerie, e dove sono state organizzate aste per la vendita di opere d’arte.
Ne esiste tuttavia un’altra tipologia, sicuramente molto più settoriale, ma non per questo meno importante quando si parla del ruolo della tecnologia nel futuro della fruizione culturale ed archeologica: i videogames.
I videogames maggiormente strutturati, infatti, consentono ai loro giocatori di poter fare molteplici attività: partecipare a campagne di gioco con uno specifico gruppo di amici (reali), partecipare a tornei con squadre di persone conosciute proprio nel videogame, comprare avanzamenti e caratteristiche speciali, partecipare ad eventi e concerti.
Queste caratteristiche possono avere un ruolo molto importante per l’archeologia se inserite all’interno di un contesto ludico. Ad oggi, il binomio tecnologia e archeologia, nella maggior parte dei casi identifica processi di ricostruzione in 3D di ambienti ad oggi non più visibili, o ricostruzioni in realtà aumentata degli ambienti così da mostrarne la loro forma presumibilmente originaria.
C’è però un elemento che in questi sviluppi, nei fatti, manca. Ed è una tecnologia che da sempre è centrale all’interno del processo di costruzione dell’esperienza di fruizione archeologica: la narrazione.
Se la ricostruzione in 3D offre ai visitatori un’esperienza prettamente visiva, la narrazione fornisce un’esperienza che può essere molto più estesa. Sulla base di come la narrazione viene impostata, scoprire la storia che è dietro ad un qualsiasi elemento del nostro passato può essere il processo più noioso del mondo oppure essere percepita come un’avventura all’interno di una storia fatta di intrighi, poteri, scambi commerciali, differenti geografie, differenti valori sociali. Con la differenza che, quella storia, oltre ad essere avvincente, è anche reale.
Certo, non tutta l’archeologia può essere raccontata come una crime-series, né tutte le aree archeologiche possono essere oggetto di “giochi di investigazione”. Ma non è detto che tutte le esperienze di gioco debbano essere caratterizzate da queste dimensioni.
Prendiamo ad esempio la categoria dei reperti legati alla lavorazione dei cibi. Esistono migliaia di videogame che hanno come esperienza di gioco la combinazione di un numero variabile di elementi, con lo scopo di cucinare una torta, un secondo, e affini. Si tratta di giochi passatempo, che non vogliono essere entusiasmanti, ma accompagnare il giocatore sulla metro, e fornirgli un po’ di entertainment senza impegno in cambio di annunci pubblicitari.
Basterebbe prendere a modello una di tali app, e fornire ai visitatori, soprattutto i più piccoli, un piccolo videogame in cui imparano a cucinare usando gli stessi oggetti che sono esposti. È chiaro che quelle proposte sono idee piuttosto “semplicistiche”, per non dire banali, ma è questo il punto che forse è importante sottolineare.
Sinora, la creazione di servizi a valore aggiunto nella fruizione archeologica è stata immaginata come una produzione esterna. In realtà, a dover realizzare tali integrazioni, dovrebbero essere semplicemente quei soggetti che si occupano di divulgazione all’interno dell’area: coloro che immaginano le visite guidate e i laboratori didattici.
Se eliminiamo la componente di “scrittura in codice”, e la “componente grafica”, il videogioco è semplicemente una storia, raccontata con l’utente, piuttosto che per l’utente.
E qui entrano in campo le nuove tecnologie sviluppate nell’industria del gaming, che consentono alle persone di interagire, di cooperare o sfidarsi, e in ogni caso, di comunicare. Questi elementi, sebbene declinati in modo differente, sono alla base di moltissimi progetti di citizen science: persone che condividono un obiettivo, e collaborano, in un percorso più o meno definito, al raggiungimento di specifici obiettivi, in alcuni casi attraverso la propria presenza fisica, in molti altri attraverso progetti di natura digitale.
Questi elementi, se ben combinati, possono creare delle esperienze di fruizione dell’archeologia molto più coinvolgenti, e molto più “didattiche”, della visita seguita in modo distratto. Soprattutto per alcune tipologie di target. Creare progetti che possano integrare tali attività per una serie differente di siti, musei e aree archeologiche, potrebbe portare il livello di comprensione dell’elemento archeologico ad un livello sicuramente superiore.
Per farlo, però, è in primo luogo necessario operare scelte di tipo strutturale, coinvolgendo e creando partnership che permettano un’integrazione di competenze e know-how attraverso le quali costruire esperienze di gioco avvincenti e scientificamente rigorose. Perché se al centro di ogni esperienza di gioco c’è una “storia”, allora l’archeologia, è, per definizione, il centro di tutti i giochi possibili.