domenica 24 Settembre 2023

El Alamein e guerra in Africa settentrionale: molti libri e poco studio nel racconto delle battaglie. Ma ci sono eccezioni: “Ruote nel Deserto”

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El Alamein è forse una delle battaglie più raccontate della storia. Eppure, paradossalmente, ancora fino a pochi anni fa non era stata sufficientemente studiata e analizzata con metodo storico e, ultimamente, anche attraverso l’archeologia dei conflitti. Sia chiaro, la bibliografia sulle grandi battaglie del 1942 è pressoché sterminata.

Molti memoriali e pochi studi storici

Da un lato abbiamo la memorialistica, il racconto di chi in quella parte dell’Africa settentrionale aveva combattuto. Alcuni sono dei libri letterariamente molto belli, basti pensare a quelli scritti da Paolo Caccia Dominioni, che riguardano sia la battaglia che, a suo immenso onore, la ricerca dei caduti proseguita per molti anni in quasi completa autonomia. Altri sono libri molto “vivi”, i ricordi dei militari della Folgore, dei carristi (Ariete e Littorio in particolare) e di tutte le altre specialità che scrissero pagine spesso entrate nel mito. Appunto, a volte il “mito” è un problema per gli storici. Come ben sappiamo, il “racconto diretto”, la memorialistica, è insostituibile per entrare nel cuore dell’azione, per conoscere le condizioni del morale, le motivazioni, il volto della battaglia visto da chi combatteva. Ma fornisce solo un quadro molto parziale della storia, il prezioso ma ristretto punto di vista dei soldati per quel riguarda la loro esperienza. Le emozioni si mischiano ai ricordi, la “propria” battaglia spesso si limita al campo visivo della propria buca e al racconto diretto dei propri compagni d’armi. Insostituibile, ma non sufficiente per la necessaria sintesi storica. Sintesi che, d’altro canto, non ci si può aspettare dai libri dei comandanti, di tutti gli eserciti, scritti dopo la guerra. Emendati dai loro errori, tesi a celebrare le proprie azioni e a giustificare scelte, interpretazioni e imposizioni. Insomma, non ci si può aspettare distacco e giudizio bilanciato dai protagonisti, soprattutto quelli con funzioni di comando, benché la lettura delle loro opere risulti un necessario punto di partenza. Anche un capolavoro da Nobel, come la Storia della Seconda Guerra Mondiale di Churchill, in fondo, resta l’indispensabile lettura di un punto di vista, fondamentale certo, ma sempre solo un punto di vista tra i molti possibili.

GUARDA IL VIDEO SULLA BATTAGLIA DELLA LOGISTICA AD EL ALAMEIN E IN AFRICA SETTENTRIONALE

Ovviamente esistono molte storie, anche ottime, delle battaglie di El Alamein. La storiografia anglosassone, però, non è ancora riuscita a scrollarsi dall’immagine di Alamein (loro tendono ad escludere “El”) proposta nel corso della guerra dalla macchina della propaganda britannica. Il punto di “cambiamento” della marea della Seconda Guerra Mondiale, e l’epico scontro di eserciti tedesco e britannico, la genialità di Rommel contro la determinazione di Montgomery. Gli italiani? Sempre poche pagine, scritte frettolosamente, che continuano a mettere l’impegno del Regio Esercito in posizione più che secondaria rispetto a quello della Deutsches Afrikakorps, quando va bene, e a proseguire con il dileggio. I numeri, i dati, le cartine stesse delle battaglie di El Alamein dicono da sempre il contrario. Le truppe italiane furono protagoniste attive e preponderanti tra quelle dell’Asse tra ottobre e novembre 1942. Pochi storici stranieri lo riconoscono, come ad esempio Ian W. Walker, scozzese che, scrivendo “Iron hulls, iron hearts” (quanto di più simile ci possa essere al motto “ferrea mole, ferreo cuore”), compie un’operazione di rara indagine sul ruolo dei carristi italiani, ribaltando per una volta i luoghi comuni e riconoscendone il valore e l’impatto sulla battaglia.

Ci sono, dicevamo, vari libri di divulgazione italiani su El Alamein scritti negli ultimi  decenni: Alfio Caruso (L’Onore dell’Italia-Longanesi), non manca il sempre vendutissimo Arrigo Petacco, Claudio Vercelli, Andrea Santangelo (chiaro e molto recente, Il Mulino 2020). Alcuni sono narrativi, altri più storicamente rigorosi. Poi c’è la ricchissima bibliografia sui singoli reparti, a cominciare dalla Folgore (qui Congedati Folgore ne raccoglie alcuni), o documentatissimi libri sui mezzi e le armi in dotazione, penso ad esempio a quelli sui carri “M”. Infine, ampie trattazioni in opere generali come La Guerra Fascista di Gianni Oliva (Mondadori, anche questo recente, 2020)

Edit febbraio 2023: aggiungiamo un’altra storia uscita a fine 2022, quindi recentissima, El Alamein. Gli Italiani in Africa del Nord di Lorenzo Cadeddu con Stefano Gambarotto – Editoriale Programma, che è in realtà un’edizione abbreviata e rivisitata di un volume del 2012 che parla anche della precedente guerra in Libia e di Tobruk.

IL PROGETTO EL ALAMEIN

Il progetto El Alamein e Ruote nel Deserto

Non passiamo in rassegna la storiografia estera, tedesca e anglosassone, proprio per questa enorme attenzione al mito, alle “volpi del deserto”, alla costruzione di icone leggendarie, vere o presunte. A cui noi italiani abbiamo per reazione risposto talvolta con dei contro-miti, esagerando, omettendo, frapponendo visioni parziali a visioni parziali. Promettiamo una bibliografia ragionata sullla guerra in Africa in uno dei prossimi articoli, aperta anche al contributo dei lettori.

Qui ci preme però dire che il lavoro nato attorno al Progetto El Alamein (El Alamein Project) portato avanti dalla Società Italiana di Geografia e Geologia Militare, da Aldino Bondesan dell’Università degli Studi di Padova con la collaborazione dei Congedati Folgore e l‘Associazione Paracadutisti d’Italia, va nella direzione dello studio su basi storiche e delle testimonianze materiali (vedi conflict archaeology). È partito come un progetto di studio e un censimento del campo di battaglia di El Alamein, fatto fisicamente sui siti nel deserto. L’analisi delle postazioni, quando possibile anche la loro salvaguardia, con ben motivati e generosi volontari coordinati dai ricercatori. Ma sempre con una metodologia scientifica nel rilievo e nel recupero stesso dei materiali, proprio nei luoghi dove è in corso di costruzione -ormai da anni- la gigantesca città di New Alamein, che cancellerà (e ha già cancellato) gran parte di quello che fu il luogo dello scontro. Frutto di questo lavoro, dopo l’importante volume di Toni Vendrame e Aldino BondesanEl Alamein. Rivisitazione del campo di battaglia tra mito e attualità” (trovarlo è difficile finché non si decidono a ristamparlo, presso l’editore Cierre è esaurito), è recentemente, stessi autori, “Ruote nel Deserto. Teatri operativi, mobilità e logistica del Regio Esercito in Africa settentrionale”. In 540 pagine di grande formato vengono ospitate foto, cartine originali e appositamente elaborate, contributi scientifici importanti. In gran parte sono argomenti affrontati per la prima volta in modo così organico, e si spiega molto bene come la logistica dell’Asse, che passava in gran parte da quella italiana, fosse condizionata dai materiali, mezzi, scelte operative. E lo fa grazie a schede, analisi, dati. Insomma, un patrimonio di informazioni criticamente ragionate che, finalmente, può essere la base, come il volume precedente, per lavori di sintesi che appaiono sempre più necessari e che possono scrivere storie molto diverse e più equilibrate, meno mitizzanti e più vicine alla realtà, di quanto avevamo negli anni 60/70 del Novecento, così legate alla memorialistica o ancora troppo vicine alle emozioni stesse e ai pregiudizi del conflitto. Un’operazione che passa anche, oltre che dall’università, attraverso chi di questi ricordi è l’erede, come le associazioni d’arma, che risultano essere molto meno settarie e polverose di come si voglia talvolta far credere.

MEZZI DI EL ALAMEIN: I CARRI M

SULLA CONFLICT ARCHAEOLOGY DEL CAMPO DI BATTAGLIA DI EL ALAMEIN:

El Alamein, la conflict archaeology per salvare la memoria del campo di battaglia. Che sta per scomparire

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