giovedì 25 Aprile 2024

Venere di Botticelli, Uffizi e diritto d’immagine. Quando la moda non è arte, a meno che non la finanzi

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Sembra quasi una performance contemporanea, quella che vede protagonisti gli Uffizi e lo stilista Jean Paul Gaultier. E più nel dettaglio, una performance che strizza l’occhio ad una riflessione più vicina alle correnti del tardo Novecento, quelle che indagavano il confine tra ciò che possa ritenersi arte e cosa invece no. Ma con uno stile del tutto contemporaneo.

La performance invade così le aule dei tribunali, affidata ad attori serissimi, in qualità di giudici, tributaristi, esperti di diritto d’autore, fiscalisti ed avvocati. Con una nota di merito sul lato del “mercato”: se nelle performance tradizionali si ha sempre quella grande distinzione tra performance (che o si esperisce dal vivo o non si esperisce) e supporto (in genere delegato a ruolo di feticcio), in questo caso l’intera performance è completamente documentale, e non riguarda soltanto le minute redatte dagli esperti di parte, ma anche i commenti e le riflessioni che fanno da eco alla vicenda.

Un buon modo per approfondire la questione è addentrarsi nei meandri di questa particolare “performance” e scoprirne il senso più profondo. Ed il senso più profondo è una domanda del tutto aperta: la moda è arte?

La risposta, evidentemente, è, dipende.

E non dipende tanto dalla qualità del capo, quanto piuttosto dalla modalità della sua  “rappresentazione”. Torniamo alla vicenda: gli Uffizi hanno chiamato in causa lo stilista Gaultier per l’uso non autorizzato, all’interno della propria collezione, dell’immagine di un’opera d’arte custodita appunto dagli Uffizi.

Le parole del comunicato ufficiale del Museo, così come riportate dai media, sono piuttosto chiare: “La nota casa di moda ha utilizzato l’immagine […] per realizzare alcuni capi di abbigliamento, senza chiederne il permesso, concordarne le modalità dell’uso e pagare il canone, così come è invece espressamente previsto dalla legge.

Quale sia l’opera, non dovrebbe importare, sia che si tratti di un capolavoro, sia che si tratti di una “crosta”. Ma per chi non lo sapesse, sì è un capolavoro, e nel dettaglio, la Venere di Botticelli.

Prima di proseguire, è utile ricordare le numerosissime opere d’arte che riproducono, parzialmente o per intero, capolavori della nostra storia artistica: il primo esempio a venire in mente è chiaramente la Gioconda coi baffi di Duchamp, ma non ne è certo l’unico.

Con ben presente questa immagine, immaginiamo per questa vicenda uno scenario alternativo. È il 2020 e Jean Paul Gaultier, piuttosto che realizzare una collezione di abiti, contatta gli Uffizi e decide di organizzare una mostra dedicata al “rapporto tra moda e arte”, ovviamente finanziata dallo stilista stesso.

Ipotizziamo, ancora, che una parte centrale della mostra venga affidata ad un artista contemporaneo, e che questi decida di realizzare, in collaborazione con lo stilista, l’abito per il quale l’artista è oggi chiamato in causa.

Volendo ancora essere più concreti. Si ipotizzi che ad indossare l’abito siano modelle dalla bellezza “non tradizionale”.

Si immagini, ad esempio, quello in foto.

È facile, a questo punto, immaginare il tenore dei commenti: “una riflessione sui canoni di bellezza nel mondo contemporaneo”, oppure “un esempio che dimostra come l’intera riflessione sulla bellezza sia ad oggi viziata da canoni preimpostati e retorica”. Plauso mediatico, e comunicati stampa che esaltano il valore creativo della moda.

Immaginiamo che poi, a mostra terminata, l’artista rivenda quell’opera. Rivenda cioè quell’abito, in qualità di “opera d’arte”, attraverso i canali tipici del mercato dell’arte, e con i prezzi tipici del mercato dell’arte.

Ritorniamo ora alla realtà: quali sono le più importanti differenze con l’ipotesi appena avanzata?

Sostanzialmente due: la prima è il “framing”, vale a dire il modo in cui l’abito è stato concepito, presentato, distribuito; la seconda è lo scopo di “lucro” che la collezione di moda evidentemente persegue.

Le conseguenze di questa riflessione sono due: la prima è che sanzionare Jean Paul Gaultier perché l’abito, in questo caso, non è stato concepito come opera d’arte, implica la necessaria affermazione che per essere arte l’opera deve essere inserita all’interno di un “sistema artistico”, e che di conseguenza, qualunque cosa sia espressione di un determinato “sistema artistico” è necessariamente arte.

La seconda è che qualunque opera d’arte “citi” capolavori del passato, distorcendoli o modificandoli, non potrà mai essere destinata alla vendita, nemmeno dall’artista che l’ha realizzata.

Anche se gli Uffizi vinceranno, nessuna delle conseguenze logiche che tale vittoria comporta può essere davvero considerata desiderabile.

 

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