martedì 19 Marzo 2024

Un gioco divertente. Una riflessione sull’archeologia “scavando” nelle nostre case

In Evidenza

Cosa accadrebbe se, d’improvviso, una squadra di studenti di archeologia entrasse nelle nostre case e iniziasse a catalogare gli oggetti trasformando la nostra abitazione in una “mostra temporanea di archeologia” che si svolge in un ipotetico futuro?

Sarebbe forse un modo per far capire, a chi non ne ha ancora la percezione o non è sensibile al tema, quegli aspetti che rendono così importante l’archeologia per la nostra società. E sicuramente per superare quella percezione di “polvere e noia” che molti musei archeologici regalano ai loro fruitori.

Come indica Treccani (s.v. Ricerca archeologica. Lo scavo stratigrafico di Daniele Manacorda), l’archeologia mira alla ricostruzione della storia della presenza umana su un territorio prendendo le mosse dallo studio dei segni che questa vi ha lasciato”.

Immaginare come la nostra vita verrebbe ricostruita, a partire dagli oggetti così come dai nostri riti e rituali contemporanei, è sicuramente un gioco divertente che val la pena fare, per almeno due ordini di motivi: il primo è comprendere il nostro quotidiano, visto con l’occhio dell’alterità: dover spiegare la nostra esistenza domestica ad un fantomatico fruitore con cui non condividiamo alcun significato simbolico è un’impresa che ci aiuta sicuramente a ricostruire una serie di assunti che, in quanto “membri della società”, tendiamo a dare per scontato.

Il secondo è comprendere come, tali assunti, tali dogmi, tali non-detti, si inscrivano all’interno della nostra storia sociale, trovando quindi una più forte correlazione con i nostri antenati vicini e lontani.

A differenza dell’archeologia vera e propria, che pone problemi e avanza soluzioni più o meno definitive, questo esercizio sarebbe sicuramente meno “oggettivo”: la nostra interpretazione del presente non può essere del tutto estranea al sistema valoriale che ci è proprio.

Dal punto di vista individuale, quindi, questo esercizio potrebbe far emergere dei corto-circuiti: oggetti, consumi, atteggiamenti e rituali che adottiamo quotidianamente e che, visti nella loro “estraneità”, ci potrebbero apparire come “sbagliati” o, ancor peggio, “superflui”, non conformi a ciò che riteniamo importante.

Alcuni esempi sono di facile retorica: un appartamento in cui sono presenti schermi (TV, monitor, tablet, ecc.) in ogni camera è forse il più facile tra essi.

Altri aspetti sarebbero invece meno “banali”: l’ubicazione geografica della casa, la presenza di quattro differenti tipologie di coltelli; la grande quantità di “multiprese elettrici” (ciabatte); carte da gioco, libri, i pavimenti, la tipologia di interruttori, la presenza di sistemi domotici, la tipologia di biancheria intima, i trucchi e i prodotti di bellezza per lui e per lei, la natura dei giocattoli dei bambini, la disposizione delle camere, la disposizione degli abiti nell’armadio, i tessuti degli abiti, i materiali delle sedie, i segni del nostro vivere sociale.  Ogni cosa del nostro quotidiano racconta molte più cose di quanto siamo abituati a pensare. E ognuna di quelle storie può finire con l’assomigliarci, o non assomigliarci affatto.

Altrettanto evidenti sarebbero poi le connessioni e le discontinuità con la nostra storia familiare. Vedere come siano cambiati gli spazi dedicati all’unione familiare, e come a nostro avviso tali cambiamenti potrebbero essere posti in relazione ai grandi cambiamenti sociali, culturali, politici ed economici.

Tutto ciò permetterebbe anche di avvicinare le persone all’archeologia e ai risultati raggiunti in tale campo: servirebbe, in breve, ad accorciare quelle distanze che in genere vengono percepite quando si entra in una raccolta di oggetti.

Un modo per confrontarsi davvero con ciò che tali oggetti sono in grado di raccontare, insieme alle ricostruzioni storiche, alle espressioni artistiche e letterarie.

Sarebbe dunque divertente, se qualcuno di noi avviasse, quest’inverno, ad organizzare cene “archeologiche” con gli amici, con i propri figli. Mantenendo il perimetro di privacy desiderato trasformare la propria casa, quella che riteniamo il nostro “focolare domestico”, nel museo della nostra quotidianità.

Non sarebbe “archeologia”, sia chiaro. Ma avvicinerebbe a ciò che l’archeologia ci permette di comprendere della nostra storia.

Il valore del “dismesso”. Dall’archeologia industriale agli spazi vuoti – il senso dell’archeologia del presente.

Altri articoli

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

News