venerdì 26 Aprile 2024

Re-Count Italy: una campagna crowdsourcing possibile per divulgare il nostro Patrimonio Culturale

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È ormai da anni che il Patrimonio Storico, Artistico e Culturale del nostro Paese è riconosciuto come una delle leve di sviluppo culturale, economico e sociale dei nostri territori. Eppure, ancora oggi, sono numerosissimi i territori del nostro Paese in cui i cittadini, di fatto, ignorano la rilevanza del proprio patrimonio. Castelli “senza storia”, resti di città senza memoria.

Certo, anche per questo Patrimonio sarà sicuramente disponibile una qualche erudita ricerca pubblicata da un qualche centro studi nascosto dietro un arcaico acronimo esposto in una targa in ottone su qualche palazzo del centro storico. Non è questo, però, quello di cui i cittadini hanno bisogno. Hanno bisogno di comprendere, senza termini tecnici, di quali storie quel patrimonio è stato testimone, quali narrazioni aggiunge a quello che oggi può essere un anonimo centro urbano e che in passato, nella lunga storia del nostro Paese, magari è stato un centro florido per il commercio, il campo di una battaglia, la sede di una città. Per condividere queste informazioni con la maggior parte della popolazione, più che una pubblicazione accademica è utile un volantino A4; più che un convegno è utile una visita guidata.

È necessario, in altri termini, affiancare alla grande mole di approfondimenti che costituiscono la “ricerca” una altrettanto capillare e attenta campagna di divulgazione. Una campagna di questo tipo però non può essere affidata esclusivamente alle Amministrazioni: da un lato perché richiederebbe un dispendio di risorse in buona sostanza “evitabile”, dall’altro perché spesso, anche gli stessi amministratori e decisori pubblici sono all’oscuro della reale rilevanza di interi “pezzi di territorio”.

A ben vedere, questo tipo di attività presenta tutte le caratteristiche necessarie affinché la soluzione possa essere affidata alla “folla” o, in termini più tecnici, al crowd. Tra le prime espressioni contemporanee del “potere della moltitudine” non è stata, infatti, la “colletta globale” del crowdfunding, ma l’impegno aggregato del crowdsourcing: progetti in cui privati cittadini, in genere avvalendosi di strumenti creati ad-hoc sul web, svolgono una “piccolissima” parte del lavoro raggiungendo, insieme, risultati efficacissimi in pochissimo tempo.

La realizzazione di questo intervento, tuttavia, non si potrebbe fondare esclusivamente su questo meccanismo: c’è bisogno anche di approfondimenti, validazioni scientifiche, lavoro professionale che non può essere affidato ad un indistinto numero di persone. Potrebbe però essere utile creare un meccanismo ibrido, che veda da un lato i cittadini svolgere azioni semplici, e persone maggiormente qualificate approfondire gli elementi che richiedono maggiore attenzione e conoscenza.

Un’azione di questo tipo potrebbe essere dunque rappresentata da un processo che affidi al crowdsourcing la “mappatura” collettiva del patrimonio culturale; che affidi all’intelligenza artificiale la ricerca di “fonti” disponibili sul patrimonio identificato; che “associ” all’interno della medesima “piattaforma” (o database) tutti i luoghi individuati e tutte le ricerche svolte. Tale database, da rendere disponibile apertamente a chiunque, permetterà dunque di stabilire il livello di “divulgazione” legato a specifici siti o aree del nostro territorio, evidenziando quei siti o quelle aree cui si associa un minor numero di testi o di interventi divulgativi.

Tale “classifica del Patrimonio ignorato”, potrebbe essere diffusa presso le università, e ciascun sito divenire oggetto di una tesi di laurea triennale o specialistica. Si potrebbe, ancora, prevedere che tale database possa fornire, ai laureandi che intendano aderire a tale iniziativa, dei “format” che agevolino la produzione di testi “omogenei”, con una sezione di approfondimento storico e culturale, e una sezione prettamente divulgativa.

Si potrebbe, ancora, prevedere sulla suddetta piattaforma la presenza di un “elaboratore grafico” che consenta di generare “volantini” automatici in formato digitale da inviare alle amministrazioni territoriali affinché queste possano stampare e distribuire tali materiali informativi presso gli enti locali, presso le scuole, presso i negozi commerciali.

Una campagna che, a fronte della conoscenza che potrebbe essere realmente prodotta, avrebbe semplicemente il costo della comunicazione iniziale legata alla open call, i costi di realizzazione e manutenzione del database e i costi di stampa a carico delle Pubbliche Amministrazioni. Nulla, rispetto al risultato che ne potrebbe derivare. Perché la valorizzazione, senza conoscenza, senza divulgazione, è semplicemente un’offerta da supermercato.

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