giovedì 25 Aprile 2024

La “Grande trattativa” sull’espansione di Roma in Italia. Una sfida archeologica alla storia consolidata. Intervista a Nicola Terrenato

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È uscito a giugno 2022 per Carocci “La Grande trattativa – Espansione romana in Italia tra storia e archeologia” di Nicola Terrenato. Si tratta di una traduzione molto attesa. Il saggio è anche un sasso, o meglio una roccia,  gettato nello stagno nel difficile territorio della storia romana fatta soprattutto in base alle fonti archeologiche, per certi storici sicuramente una “invasione di campo” mal digerita. D’altro canto, è già un’opera imprescindibile per chi studia l’Italia antica e le dinamiche che hanno permesso l’espansione di Roma nella Penisola. Qui riproponiamo con la copertina dell’edizione italiana, e con questa nuova frase introduttiva, l’intervista pubblicata il 21 dicembre 2021 sulla base dell’edizione originale in lingua inglese.

L’autore, professore di Roman Studies ad Ann Arbor, università del Michigan, è, bisogna dirlo, uno dei pochi nomi italiani perennemente presente nelle citazioni bibliografiche in studi di archeologia classica internazionali. Il suo volume, titolo originale The Early Roman Expansion into Italy – Elite Negotiation and Family Agendas (Cambridge University Press)  ha tra l’altro ricevuto il James R. Wiseman Book Award dell’Archaeological Institute of America, ha fatto molto parlare, e non mancherà di riaccendere la discussione l’edizione italiana in arrivo.  Quindi lo abbiamo raggiunto e deciso di prepararci, sapendo che la tesi di fondo del suo lavoro è che l’espansione di Roma in Italia, nei due secoli decisivi tra il IV e il III secolo a.C, sia dovuta agli eventi bellici e alla forza delle armi in misura molto minore rispetto a quanto narrato da oltre due millenni di storiografia. E che l’archeologia suggerisce risposte diverse alle dinamiche della conquista romana della Penisola.

Manuali e “bignamini” d’epoca di storia romana. Nicola Terrenato mette in dubbio alcuni fatti dati per scontati dalla storiografia

Quello che studiamo a scuola e su qualsiasi manuale a proposito dell’espansione di Roma in Italia è reso visivamente dalle cartine. Una successione ininterrotta di vittorie militari, grandi e piccole, tutte tese alla conquista della Penisola, solo punteggiata qua e là da alcune sconfitte, da cui Roma stessa trae lezioni. Nel suo libro lei racconta una storia parzialmente diversa

Terrenato: “Oserei dire del tutto diversa. Cerco di rovesciare questa narrativa anche in maniera provocatoria, per stimolare il dibattito. Parto da vari punti di vista. Innanzitutto, la storia che abbiamo è quella non solo raccontata dai Romani, ma raccontata da Romani di molti secoli dopo. Scrittori come Livio non potevano più rendersi conto di cosa fosse l’Italia trecento anni prima, specialmente in assenza di molti documenti scritti.

Dall’altra parte – continua Terrenato –  c’è l’archeologia: di questa “grande conquista” romana rimanevano tutto sommato poche tracce di una profonda rivoluzione, specialmente nei meccanismi del potere. Si vedevano nelle città, molto spesso, le aristocrazie etrusche, umbre, osche, addirittura sannite, che restavano al loro posto dopo la conquista. Non sono certamente partito dal presupposto di cambiare la narrativa solo per il piacere di cambiarla, ma, come archeologo, lavorando per esempio in luoghi come Volterra, non trovavo proprio le tracce di questa supposta rivoluzione e di questo supposto cambiamento del potere, che sarebbe stato causato dalla conquista romana”.

Nicola Terrenato, The Early Roman Expansion into Italy. In Italia è edito da Carocci nel 2022 con il titolo di “La Grande trattativa – Espansione romana in Italia tra storia e archeologia

Con “tracce” intendiamo, ad esempio, la scomparsa di testimonianze materiali come epigrafi che riguardino una certa aristocrazia, oppure chiari segni di distruzione nel momento della conquista romana e altre indicazioni del genere?

Terrenato: “Si vede proprio la continuità delle famiglie, in quasi tutte le città. Per esempio nelle città etrusche, in epoca romana, si notano famiglie che rimangono molto potenti con nomi di discendenza etrusca, e in alcuni casi si riescono a ricollegare ad epigrafi etrusche preromane. Poi nella maggior parte delle città italiane la tradizione dei rituali funerari resta immutata. In area etrusca si fanno ancora le grandi tombe etrusche, e lo stesso accade in area osca, in area sannita. Chiedersi ‘ma allora i Romani dove sono?’ è quindi lecito. Perfino in alcune colonie, spesso si vedono rituali funerari legati alla tradizione locale e non a quella romana”.

Esempi?

“Le colonie di Sutri, di Nepi, continuano ad avere tombe etrusche, a Paestum continuano le tombe campane dopo la fondazione coloniaria, per moltissimo tempo. Spesso quella che è stata considerata la cosiddetta ‘romanizzazione’ è un fenomeno che in realtà arriva il primo secolo avanti Cristo. A quel punto però bisogna domandarsi se si possa stabilire un rapporto di causa-effetto immediato tra una conquista avvenuta magari nel 350 o nel 280, e poi un cambiamento culturale che arriva duecento anni dopo. Questo è un punto già rilevato da grandi maestri come Mario Torelli, ed io ho semplicemente cercato di tirare le fila e mettere tutto insieme”.

E quindi alla fine ha “osato” scrivere un libro di storia con gli strumenti dell’archeologia. Un’azione piuttosto coraggiosa in questo campo, non trova?

“Sì, è un libro che ha avuto recensioni assolutamente polarizzate. Da una parte complimenti che mi hanno molto lusingato, dall’altra delle stroncature, specialmente da parte di storici, di un’acrimonia inusuale. Perché è un tentativo di scrivere la storia partendo dall’archeologia, naturalmente tenendo conto dei materiali e della riflessione storica. Nel bene e nel male però tutti riconoscono che ne viene fuori una storia completamente diversa da quella che, come ha ricordato, abbiamo letto sui libri fin dai tempi delle elementari”.

Il professor Nicola Terrenato (credit: Terrenato)

Lei mette l’accento sul global context, così nell’edizione originaria inglese, nel Mediterraneo centrale, riguardo all’espansione romana nella Penisola

“Uno dei limiti della storiografia tradizionale è che questo periodo di Roma è stato quasi sempre studiato in modo isolato, avulso dal resto del suo contesto mediterraneo. Ovviamente, ad esempio, quando si parla delle guerre puniche si prende in considerazione Cartagine, ma cosa stesse facendo Cartagine nel momento in cui Roma si espande nel Lazio e in Etruria raramente viene considerato.

Le origini dell’espansionismo romano nei primi due secoli, tra il IV e il III secolo a.C., vanno invece viste in un contesto Mediterraneo. Quando lo si fa, si notano chiaramente dei movimenti in parallelo: Cartagine, Siracusa, Roma, per certi versi Tarquinia e altre città-stato – relativamente stabili da quattro-cinquecento anni – improvvisamente decidono di lanciarsi in una conquista territoriale che nessuno aveva mai attuato. Nel Mediterraneo centrale non esistevano grandi regni territoriali, a differenza del Mediterraneo Orientale.

Città stato con territori relativamente piccoli, nell’ordine delle centinaia di chilometri quadrati, improvvisamente cambiano approccio. A mio avviso qui è evidente che esistono delle condizioni strutturali e congiunturali che favoriscono la nascita di questi stati. Quindi non bisogna chiedersi come mai Roma si sia espansa in quel momento, ma come mai tutti questi stati si siano espansi. In questo caso va trovata una spiegazione globale, e non di tipo culturale, come spesso è avvenuto, sul tipo “I romani erano particolarmente bellicosi”. Lo erano tutte le popolazioni italiane, basti pensare ai Sanniti e ai Campani e alla loro cultura guerriera”.

Nel libro si usa l’espressione “conquista eterogenea”, è questa la risposta nella ricerca della dinamica di espansione?

“Questo complesso di eventi che cambia il corso della storia del Mediterraneo non può essere spiegato senza fare ricorso ad un ruolo, di qualche tipo, delle popolazioni non romane. Un ruolo che non sia semplicemente quello di ‘vittime’ o di ‘resistenti’. Il titolo del libro si riferisce a un ‘negoziato’ con alcune comunità, specialmente quelle più potenti, e credo che ci sia stato un accomodamento fra aristocratici. Non basato, ovviamente, sui buoni sentimenti ma sulla reciproca convenienza. Questo noi lo vediamo perché non solo gli aristocratici locali continuano ad essere preminenti nelle loro città d’origine, ma soprattutto perché c’è un fenomeno parallelo: la comparsa di aristocratici non romani a Roma stessa. Stiamo parlando di consoli, di pretori, alti sacerdoti. Non si tratta di un fenomeno comune a molti altri imperi. Se noi infatti guardiamo all’impero persiano o a quello Han, chi non è del gruppo etnico ‘giusto’ non fa carriera nei meccanismi dell’impero. Invece in questo caso fanno carriera gli Etruschi, gli Umbri, perfino i Sanniti.

Ai miei studenti faccio l’esempio di Ponzio Pilato. Puoi anche combattere i Romani ferocemente nel IV secolo a.C., e poi trovarti quattrocento anni dopo come un magistrato che giudica Gesù. La famiglia dei Ponzi, infatti, è tra quelle famiglie sannitiche che combattono Roma con più ferocia, e malgrado questo Roma li promuove a fare i procuratori, a governare le province. Un motivo di convenienza, di creazione del consenso, senza il quale il sistema di governo non resterebbe in piedi.

La Guerra Annibalica – che resta oltre il limite inferiore della mia trattazione – è la prova del nove: quando l’alleanza romana in Italia si trova di fronte a un vero genio strategico e a una superiorità militare, nel momento più acuto della crisi, questa l’alleanza regge, pur con alcune defezioni. Se non ci fosse stata una profonda convinzione sulle valide opportunità dell’alleanza con Roma, l’Italia sarebbe diventata una satrapia dell’impero cartaginese, e questo non accade. Quindi esiste un consenso, dovuto a due secoli di trattativa, di accomodamento”.

La migliore delle alternative possibili quindi?

“Sono stato accusato di avere una sorta di visione idilliaca della conquista romana. Ma la violenza non è stata diretta tra entità statali. Non la si riscontra tra Roma e Cerveteri, o Roma e Napoli, due degli stati più importanti in Italia.

C’è stata invece una grande violenza nei confronti di alcuni gruppi sociali emergenti: per esempio alcuni gruppi sannitici, dediti a razzia e scorreria, una violenza diretta specificamente ai veri ostacoli all’espansione, stati a ‘deriva democratica’ o altri progetti imperiali. Quindi non manca certo guerra, violenza, schiavitù. Allo stesso tempo, invece, esiste un accordo tra aristocratici, Romani e non-Romani, per creare uno stato in grado di competere, alla pari, con altri stati in via di creazione, da parte dei Cartaginesi, dai Macedoni, dai Greci, dall’Epiro. Le città-stato individuali sarebbero state inghiottite una ad una da un impero, una situazione simile a quella in cui si trovò Barbarossa nell’Italia Settentrionale. Carroccio o non Carroccio il destino era comunque segnato”.

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