venerdì 29 Marzo 2024

Beni Culturali: basta con le limitazioni all’uso delle immagini – Intervista al professor Giuliano Volpe – Con un approfondimento della redazione

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La battaglia contro le limitazioni all’uso delle immagini dei Beni Culturali. Permettere il libero uso delle immagini significa divulgare la cultura e la conoscenza, con grandi possibilità di ritorno economiche per istituzioni e territorio. Per iniziare a trattare l’argomento abbiamo intervistato il professor Giuliano Volpe, che è un convinto propugnatore dell'”Open Access” come strumento di allargamento degli orizzonti: sul piano culturale, economico e dell”autorappresentazione di musei e istituzioni

GIULIANO VOLPE E LA LIBERALIZZAZIONE DELLE IMMAGINI DEI BENI CULTURALI

Abbiamo provato a porci, a livello redazionale, alcune domande critiche sull’uso Open Access, insomma “libero” delle immagini dei beni culturali, tenendo conto delle obiezioni o dei dubbi più comuni da parte di chi deve “gestire” (anche qui, termine non felice) il patrimonio pubblico.

– PRIMA DOMANDA: IL “DECORO BENI CULTURALI” Il decoro sulle immagini delle opere d’arte e dei beni culturali dove inizia? Chi lo stabilisce? Si può usare un’immagine del Foro Romano per la Coca Cola? O un gruppo scultoreo per la pubblicità della carta igienica, tanto per andare su esempi di consumo di massa?

L’argomento del decoro è piuttosto scivoloso e sembra avere a che fare con presunti obblighi di tutela morale che mal si addicono a una concezione laica e democratica della cultura.

Il limite del decoro è presente nel codice dei beni culturali, è vero, ma solo in presenza di usi ‘fisici’ del patrimonio e mai a proposito di riproduzioni di beni culturali il cui libero riutilizzo dovrebbe essere semmai ricondotto nell’alveo del principio della libertà di espressione. Peraltro è già libera la divulgazione di immagini di beni culturali per fini di libera espressione del pensiero. Dunque anche eventuali caricature giudicate volgari o poco decorose sarebbero di per sè ammesse dalla normativa vigente se distribuite attraverso canali non commercial.

Forse che gli usi delle immagini sono giudicati indecorosi solo quando circolano in circuiti commerciali? Viene da pensare, a questo punto, che il vero problema, sotto sotto, sia il binomio economia/cultura, evidentemente per molti ancora indigesto. Ammesso poi che sia possibile parlare di uso ‘improprio’ delle immagini, chi può essere chiamato a giudicare se una immagine è decorosa o meno? Sulla base di quali codici interpretativi?

Se ci pensiamo, sottoporre una immagine a autorizzazione preventiva sarebbe un po’ come impedire a qualcuno di parlare per evitare che questi possa offendere qualcuno. L’autorizzazione preventiva, in una società democratica, sembra allora essere, da questo punto di vista, una misura sproporzionata rispetto agli obiettivi di tutela ‘morale’ che intende proporsi.

– SECONDA DOMANDA: I MUSEI CHE LASCIANO LE IMMAGINI OPEN ACCESS SONO SUICIDI? I musei come il Metropolitan di New York o il Rijksmuseum di Amsterdam che rilasciano le immagini con licenze di libero riuso commerciale sono autolesionisti nel rinunciare ad introiti che deriverebbero dall’applicazione delle royalties?

Un numero (crescente) di istituti in tutto il mondo le ha adottate non certo per autolesionismo, ma a fronte di ponderati analisi costi/benefici: in particolare s’è potuto appurare che gli introiti sono minimi rispetto ai costi di gestione del personale che si occupa delle autorizzazioni. I musei hanno cambiato radicalmente modo di autorappresentarsi e la libertà d’uso dell’immagine è diventata parte integrante delle mission di musei, archivi e biblioteche: questi istituti hanno capito che il loro servizio istituzionale a favore della collettività ne esce arricchito nella misura in cui permettono alla collettività di trarre effettivo vantaggio, anche economico, dalle immagini di beni culturali pubblici, nello spirito della convenzione di Faro.

– TERZA DOMANDA:Ammesso che dagli introiti si guadagna poco o nulla, rimane la questione del “mancato guadagno” o del “danno erariale nel permettere l’uso gratuito”: come superare questo problema?

il codice dei beni culturali (artt. 107-108) in realtà non vieta questo genere di pratiche in linea di principio, giacché applicare una licenza aperta per un istituto pubblico equivale al rilascio di un’autorizzazione preventiva all’uso commerciale delle immagini a canone azzerato. Lo spiega bene il sito web della Fondazione Museo Egizio di Torino, che è sì fondazione privata ma amministra pur sempre beni di proprietà dello Stato. Dire che il codice dei beni culturali impedisce agli istituti pubblici l’adozione di licenze aperte per il rilascio di immagini potrebbe aprire la strada a un vero e proprio paradosso: come può lo Stato infatti consentire a una Fondazione privata come il Museo Egizio di Torino di fare qualcosa che di fatto nega a se stesso?

A questo proposito vale la pena di trascrivere per intero il documento del Museo Egizio di Torino:

Il Museo Egizio è lieto di rilasciare le riproduzioni digitali in pubblico dominio dell’Archivio fotografico in CC0 (Creative Commons — CC0 1.0 Universal). Grazie a questo strumento potrete liberamente riutilizzare le immagini per qualsiasi scopo, anche commerciale, in forma del tutto gratuita e senza ulteriori permessi da parte del museo. I termini d’uso qui espressi sostanziano infatti l’autorizzazione resa ai sensi dell’art. 108 del d.lgs 42/2004 a canone azzerato per qualsiasi eventuale riutilizzo commerciale. Il museo ha deciso in questo modo di rinunciare a qualsiasi diritto sulle riproduzioni, che gestisce in base all’art. 10 dell’atto costitutivo della Fondazione Museo Egizio, per restituire questo straordinario patrimonio di immagini alla collettività che ne è la legittima proprietaria.

Siamo convinti che il libero riuso delle immagini di beni culturali pubblici in pubblico dominio rientri ormai a pieno titolo nella mission del museo contemporaneo, la quale si misura sempre di più con la capacità di incentivare meccanismi di produzione di valore dal basso offrendo sempre nuove opportunità di sviluppo alla cittadinanza dal punto di vista culturale, economico e sociale in un’ottica concreta di democrazia della conoscenza.

Siete quindi liberi di riutilizzare e far rivivere le immagini come preferite. Vi chiediamo solo di citare correttamente la fonte (Archivio Museo Egizio, codice alfanumerico di riferimento dell’immagine selezionata) e di darci notizia delle vostre pubblicazioni, in modo da poter contribuire insieme alla valorizzazione del vostro patrimonio.

fonte: https://archiviofotografico.museoegizio.it/it/section/Come-usare-l-archivio/Politica-di-accesso-e-utilizzo/

Un altro link interessante è quello a un intervento su Aedon del professor Daniele Manacorda: “Per quanto riguarda i motivi economici, vale innanzitutto l’osservazione che l’esazione di diritti di riproduzione delle immagini del patrimonio culturale pubblico privilegia la rendita patrimoniale rispetto all’investimento produttivo; questa scelta – assai poco opportuna se applicata al patrimonio pubblico – rinuncia quindi a creare lavoro e ricchezza e, di conseguenza, al reddito fiscale che ne deriva. Non è infatti un caso se molti istituti culturali in tutto il mondo hanno deciso di rovesciare le procedure fondate sulla rendita, liberalizzando il mercato; anche perché la liberalizzazione ha un ritorno economico non trascurabile in termini di visibilità e attrattività”

Ecco la fonte con lo scritto completo: http://www.aedon.mulino.it/archivio/2021/1/manacorda.htm

 

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