Cosa possono avere in comune una botola di espulsione dei bossoli di un panzer V Panther tedesco della Seconda guerra mondiale trovato a sud del fiume Po, una spada dell’età del Bronzo di tipo Sauerbrunn del 1.500 a.C. dal sito del Lavagnone e delle ancore del I secolo dal Golfo di Baratti (Populonia)? Si tratta di manufatti che sono stati riutilizzati in modo diverso dalla loro funzione originaria, una costante ben nota agli archeologi specializzati in tutte le epoche.
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Al Museo Rambotti di Desenzano la spada dell’età del Bronzo, spezzata chissà come, magari proprio in combattimento, è stata trasformata lavorando la parte distale in una sorta di spatola, per funzioni che ci sfuggono, ma sicuramente non più di combattimento. La Sauerbrunn era strumento di potenza e di dominio, esattamente come 3.500 anni dopo lo sarebbe stato il Panzer V, il “Panther”, efficiente carro armato tedesco dell’ultima parte della Seconda guerra mondiale.
Nei duelli con gli Sherman americani a sud del Po, durante l’ultima ritirata della Wehrmacht nel 1945 in pianura Padana, vari esemplari furono abbandonati perché colpiti, senza carburante, impossibilitati ad attraversare il grande fiume con tutti i ponti distrutti. Dopo la guerra il loro metallo fu ovviamente riutilizzato nelle industrie della zona, ma alcune parti vennero recuperate dai contadini. Abbiamo ruote di recupero e di scorrimento dei cingolati utilizzati come volani per le mole, basi per varie attrezzature e strumenti di lavoro agricolo, oppure, come nel caso del reperto del Museo di Felonica, una botola della torretta del carro armato finì come utilissima incudine usata per decenni per scopi lontani da quelli bellici. Le ottime ancore romane in metallo rinvenute sul fondale del Golfo di Baratti, ora al Museo Etrusco di Populonia Collezione Gasparri, erano disposte in modo molto regolare sul fondale. Non erano quindi state perdute da più navi, ma posizionate quasi certamente come pesi per tenere tese le reti per la cattura dei tonni, attività che a Populonia era attestata dalle fonti antiche (Strabone).
Il filo conduttore è spesso quello: la spoliazione delle ville romane per il riutilizzo del materiale per l’edilizia medievale, le colonne delle tante basiliche impreziosite dai marmi imperiali, le anfore inutilizzate per drenare il terreno di una fondazione, i cocci per formare un vespaio di una pavimentazione, le statue finite in fornace per ricavarne la calce, i cavalli di Frisia e i reticolati della Grande Guerra per delimitare i pascoli, gli elmetti come contenitori di brace per il riscaldamento, le monete come gioielli. Il quadro è affascinante e fonte di infiniti studi. È quella che noi chiamiamo talvolta “biografia di un oggetto”, il racconto anche delle continue defunzionalizzazioni e riutilizzi di manufatti, o di nuovi significati simbolici dati agli stessi nell’”impero delle cose”, il mondo che vive attorno agli esseri umani e, contemporaneamente, alle tipologie di oggetti da questi prodotti, trasformati, reinventati.
I RECUPERI DELLA “CONFLICT ARCHAEOLOGY” DURANTE LA SECCA DEL FIUME PO: