La più antica fonderia della Padova Preromana fu un ritrovamento archeologico avvenuto tra il 2000 e il 2001 durante i lavori di ammodernamento nel cortile della questura padovana, in Riviera Ruzante. La parte più interessante di quell’importante indagine, che individuò case in terra e legno della prima età del ferro (IX-VII secolo a.C.), fu però “prelevata” in un grande cassone per essere scavata in laboratorio in un momento successivo, e portata ai depositi del Museo Nazionale Atestino. Dopo 21 anni da quel salvataggio, che riuscì a identificare varie aree artigianali dedicate alla manifattura ceramica, alla tessitura,e alla metallurgia, il grande cassone è ritornato in camion a Padova, ai laboratori di Archeologia del Dipartimento dei Beni Culturali del Bo, che si trovano a Ponte di Brenta, in via delle Ceramiche, evidentemente una strada dal nome azzeccatissimo.
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Questa gigantesca “scatola archeologica” ora (dalla primavera 2022) è in corso di scavo da parte degli studenti di archeologia dell’università padovana, sotto la direzione del professor Massimo Vidale, che insegna Metodologia della ricerca archeologica, e che ha pensato di poter andare a dischiudere questo autentico “pezzo” della Padova più antica, contando sulla possibilità, attraverso la Fondazione Cariparo, di indagare con le metodologie scientifiche più moderne le tante risposte che può fornire il contenuto, essenzialmente ceramico, di queste unità stratigrafiche densissime di reperti protostorici.
Si tratta infatti di un “vespaio”, ossia un piano di lavoro, una superficie realizzata a terra con frammenti, anche piuttosto grandi, di ceramiche, per isolare l’area della fonderia dal suolo molto umido: all’epoca, infatti, l’area su cui, molto dopo, sorgeranno un convento e in seguito la questura era in prossimità dell’ansa del fiume che racchiuderà poi la città Veneta e Romana, il Meduacus, di fatto un ramo del Brenta, tra le tante variazioni idrografiche che il territorio ha subito.
Il materiale apparso nella prima settimana di scavo agli archeologi, sotto gli occhi esperti di Vanessa Baratella (assegnista di ricerca), Andrea Giunto e Francesca Adesso (borsisti di ricerca), indica che siamo probabilmente nell’VIII secolo a.C., ma il bilancio cronologico non potrà che essere stilato a fine scavo, quando si potrà osservare cosa c’è sotto le prime due unità stratigrafiche individuate, e arrivate al laboratorio nel loro ventennale viaggio dalla questura. Colpisce che, proprio al centro del vespaio, sia posizionato un coccio con il rilievo di una svastica che, come è ben noto, aveva riferimenti solari in quel periodo della protostoria.
Tecnicamente si tratta quindi di un “piano focato”, con i frammenti ceramici che dovrebbero letteralmente riempire una fossa profonda circa 10 centimetri. Sul fatto che sia una fonderia, forse l’unica interamente scavata stratigraficamente della protostoria italiana, non ci sono dubbi per la presenza di alcune fosse per queste attività e di un frammento di matrice di fusione. Il deposito archeologico è ricco di ceramica, anche da cucina, che potrebbe aver conservato nelle sue porosità tracce del materiale alimentare contenuto, che potranno ora essere analizzate tramite le indagini archeometriche. Questo vale anche per i materiali che compongono la ceramica, e per i numerosi carboni trovati in situ, che vengono campionati e successivamente analizzati. Provenienza, tecnica di fabbricazione, eventuali resti di contenuti, datazione e altri dati confluiranno poi nella ricerca, che potrà aprire uno squarcio su una Padova “prima di Padova”, la cui fondazione, come sappiamo, risale a circa 3.000 anni fa.
I PREZIOSI RACCONTI DI UN COCCIO DELLA PROTOSTORIA VENETA:
Era un nodo tra il reticolo di comunicazioni fluviale e varie vie di penetrazione tra Alpi, mare Adriatico e pianura Padana. Di fatto un mercato, con notevoli produzioni e occasioni di commercio. Perché senza mercato la città non avrebbe avuto ragione d’essere. Il grande tappeto di cocci di questo deposito archeologico ha molto da dire e da svelare. I cocci parlano e hanno molte storie da raccontare della Padova Pre-Romana. Grazie a questa indagine ne sapremo molto di più di quanto avveniva nell’area dell’attuale questura, dove, nella fase più antica (IX-VIII secolo a.C.), costruzioni isolate, dotate talvolta di tettoie e palizzate, avevano una vivace vita quotidiana, testimoniata dal ritrovamento di focolari interni, pozzetti e silos per la conservazione degli alimenti. Nell’VIII secolo a.C. l’area fu completamente trasformata dallo scavo di un grande fossato in direzione est/ovest, con altre canalette e nuovi edifici residenziali e artigianali. Si iniziava a vedere una maggiore densità di occupazione, con continui ed evoluti rifacimenti, sempre nella stesso sito. Tanto che la zona vicina a quell’ansa del fiume si presentava come una sorta di dosso, una piccola collina nata delle continue fasi di occupazione una sull’altra. Basta salire (appunto, fateci caso!) da Prato della Valle verso il centro per rendersene conto ancora oggi.
Come visitarlo:
Il progetto La più antica fonderia di Padova Pre-Romana – The earliest foundry of Pre-Roman Padua Progetto Ricerca di Eccellenza Cariparo, Dipartimento dei Beni Culturali (Unipd) potrà essere visitato gratuitamente il 23 e il 29 aprile, il 7 e il 13 maggio 2022 in via delle Ceramiche, previa prenotazione (gruppi di 10 persone) via Whattsup indicando il proprio nominativo e numero di telefono al numero 3479941448 o via mail info@studioarcheologia.it
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