venerdì 19 Aprile 2024

Archeologia in Italia: l’apologia delle opportunità mancate

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Se facciamo un gioco di logica verbale e chiediamo alle persone di associare al termine archeologia la prima parola che gli viene in mente, siamo certi che il podio sarebbe composto, con rare varianti, dalle parole: scoperta, mistero e ostacolo.
L’archeologia, infatti, è il fascino e l’emozione della scoperta, il mistero di non comprendere a pieno il valore storico del manufatto rinvenuto, l’ostacolo alla realizzazione di lavori pubblici o privati. Tutto insieme appassionatamente.
Ma un ostacolo archeologico, per quanto misterioso e incompreso possa sembrare, proprio per il fascino e l’emozione che suscita, ha tutto il potenziale per diventare un’opportunità. Dipende solo da come lo si interpreta.

In fondo, estremizzando un po’, si potrebbe sostenere che ogni evento è un’opportunità o un’opportunità mancata, e che dipenda solo da noi fare in modo che sia l’una o l’altra cosa.
Questa versione si applica benissimo anche alle scoperte archeologiche: sempre importanti per incrementare la conoscenza scientifica, ma non sempre “rilevanti” per i cittadini e i territori nelle quali avvengono. E ogni volta che un rinvenimento non diventa un’opportunità per il territorio, quell’evento, fortuito o meno che sia, è necessariamente un’opportunità mancata.

D’altronde l’archeologia non è una disciplina asettica da condurre in ambiente sterile: l’archeologia scava e si sporca di terra, di quella terra che è il contesto in cui un sito è nato, le persone hanno vissuto e le storie si sono intrecciate fino ai giorni nostri.
Per questo, ogni scoperta appartiene prima di tutto al territorio che l’ha restituita, e il suo valore dipende sempre più spesso dal valore che i cittadini di quel territorio gli attribuiscono. Queste dimensioni sono reali e generano un impatto sulla vita delle persone, sul senso di appartenenza e uguaglianza, sulla capacità di “pensarsi” in un contesto che includa anche il tempo passato, e non solo il qui e l’ora.

Per questo, ogni ritrovamento rappresenta un’opportunità per tutti: per i cittadini, che si sentiranno protagonisti del proprio passato comune; per i turisti, che saranno protagonisti accidentali di un evento raro e meraviglioso; per l’amministrazione comunale, che potrà “utilizzare” la scoperta per raccontarsi e scrivere nuove storie del territorio, per rinnovarsi e rinnovare la curiosità di visitarlo; per gli operatori, che potranno creare servizi ad hoc ed arricchire l’esperienza di fruizione del rinvenimento; per gli appassionati che in forma associata potranno prendersi cura del nuovo frammento di storia, attraverso attività coerenti con il proprio statuto; per le imprese del territorio, che hanno tutto l’interesse (commerciale e “personale”) di valorizzare nella loro interezza i luoghi in cui operano ed hanno sede.

Eppure, ancora oggi non è sempre così. Mentre si cerca di portare l’archeologia nella vita quotidiana dei cittadini, con un ruolo sociale importante per la crescita culturale certo, ma anche economica del territorio e di benessere per le persone, si assiste a fulminee comunicazioni solenni da parte di un’élite di esperti che racconta la straordinarietà della scoperta e ne decide le sorti. Una sorta di ossessione del possesso per difendere il patrimonio archeologico dai suoi stessi legittimi detentori. A meno che l’archeologia non sia una disciplina che prevede tra i suoi fini più alti la comunicazione di scoop meteorici che danno visibilità al funzionario, all’accademico o all’assessore di turno.
Tracce materiali del nostro passato finiscono nell’oblio dell’ignoranza, senza assolvere al proprio ruolo di opportunità che travalica l’ostacolo per essere gestita dagli enti preposti insieme ai comproprietari dei beni, i cittadini che resi consapevoli del valore della memoria possono essere i migliori alleati dello Stato per garantire un sistema di tutela diffusa e condivisa. Scoperta, condivisione e opportunità sono le radici dell’archeologia contemporanea.

di Carolina Megale e Stefano Monti

Scoperto mosaico a Montorio (Verona), forse pertinente a un edificio di Teodorico. Una bella indagine archeologica e un’occasione perduta di condivisione

 

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