Scienza e tecnologia dei Romani. Ecco quello che manca nella percezione del grande pubblico, e spesso anche tra gli studiosi. Un luogo dove le prove materiali, i “reperti” delle capacità ingegneristiche, pratiche, di vita quotidiana e anche di grande raffinatezza tecnica, possano testimoniare quanto pregiudizio ci sia nel considerare i Romani stessi solo “grandi costruttori” di strade, edifici, ponti e acquedotti. Ora il Museo Archeologico Nazionale di Napoli ha annunciato che nell’autunno 2022 verrà aperta la Sezione Tecnologica Romana dell’istituzione, nel Braccio Nuovo. Saranno cento i reperti (e le ricostruzioni) che racconteranno quello che i progettisti antichi, soprattutto dell’area vesuviana, avevano a disposizione per affrontare complessi problemi della vita cittadina e rurale. Ovviamente molte di queste conoscenze sono dovute all’eccezionale circostanza dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., e di quanto restituito dagli scavi archeologici di Pompei, Ercolano e degli altri siti. Ruote, macine, calibri, rubinetti, gru e molto altro. Reperti che di solito non riescono ad arrivare a noi.

Per Paolo Giulerini, direttore del museo “Ben poco delle conquiste dell’arte del mondo antico sarebbe stato possibile senza una corretta padronanza delle tecnologie, basti pensare ad esempio al processo di costruzione di un tempio, dalla cavatura delle pietre fino all’innalzamento delle colonne. Le straordinarie scoperte di Pompei hanno accelerato sempre di più tale processo di ricongiungimento tra musei d’arte e musei tecnologici, perché (caso unico insieme al mondo egizio) hanno restituito tutti oggetti della vita quotidiana che, quando conosciuti, nel passato erano stati tenuti in disparte, in oscuri depositi. Ne è conseguita spesso un’idea falsata della società antica. In realtà già Amedeo Maiuri intorno agli anni Trenta del Novecento ebbe la felice intuizione di dar vita ad una Sezione Tecnologica nel Braccio Nuovo del Museo, poi dismessa, dedicata a settori delle scienze e delle discipline applicate, dall’idraulica, all’agricoltura, all’astronomia. Oggi il MANN, cosciente che la società antica non può essere raccontata senza ristabilire tale connubio, che la rende, tra l’altro, molto più vicina a quella attuale, ha avviato il progetto di rinnovo, riallestimento e ammodernamento di quella che fu la dismessa sezione tecnologica, affidandosi ad una collaborazione con il Museo Galileo, già avviata sin dai tempi della mostra Homo Faber (1999), dedicata alle conoscenze scientifiche in area vesuviana”.
L’allestimento museale è ad opera di Andrea Mandara (design grafico di Francesca Pavese), tra i migliori professionisti europei in questo campo (suo ad esempio il recente museo Classis a Ravanna). Il progetto scientifico della sezione è di Giovanni Di Pasquale (Museo Galileo di Firenze) e Laura Forte (funzionario archeologo del MANN). La Sezione Tecnologica Romana deve molto, come tante altre iniziative di archeologia vesuviana, ad Amedeo Maiuri che impiantò una prima Sezione di tecnologia e meccanica antica.

Secondo quanto comunica lo stesso MANN, “il progetto scientifico parte dall’osservazione dei quattro elementi della natura (aria, acqua, terra e fuoco), raccontandone le attività umane correlate. Uno sguardo alla volta celeste dà l’input per parlare di astronomia e misura del tempo, così come i cicli produttivi di olio, pane e vino forniscono la straordinaria occasione per esporre macchinari antichi. Tra questi, le macine, che appartengono alle collezioni del MANN, saranno poste insieme a tutti gli strumenti utilizzati per coltivare, misurare la terra, pesare e conservare le derrate alimentari. Troveranno dunque spazio nell’allestimento la celebre groma dalla bottega di Verus, gli attrezzi di uso comune (rastrelli, zappe, vanghe, forche) e, ancora, gli strumenti per progettare e costruire (squadre, compassi, fili a piombo, calibri, martelli, scalpelli). Una sezione a parte sarà dedicata alle tecnologie idrauliche, che permettevano la regimazione delle acque a livello cittadino e il rifornimento delle singole abitazioni. Ne sono un esempio le grandi valvole idrauliche rivenute a Pompei, le fistule in piombo, le chiavi, i rubinetti, le bocche di fontana, le vasche da bagno in bronzo. Lenti, prismi, globi ustori rappresenteranno, invece, la versatile applicazione del vetro, delineandone il rapporto con la luce e il fuoco”.

“Il percorso espositivo si articolerà su diversi livelli di comunicazione – continua il Museo Archeologico Nazionale di Napoli – i materiali antichi di età romana, per la maggior parte di area vesuviana e selezionati dai depositi (dagli affreschi alle meridiane, dai pesi in bronzo a quelli in pietra, dalle bilance alle misure campione), saranno messi in dialogo con le ricostruzioni moderne dei principali macchinari antichi. In allestimento, vi saranno anche video esplicativi che illustrano la funzione degli strumenti tecnologici di epoca romana. Tra le riproduzioni, da menzionare la gru calcatoria, la vite di Archimede e la ruota idraulica. In quest’ultimo caso, il modello sarà affiancato ad un reperto eccezionale: il calco di ruota idraulica rivenuto nei pressi di Venafro nell’alveo del fiume Triverno ai primi del Novecento e, da allora, conservato al Museo.
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