mercoledì 27 Settembre 2023

Indagine sui primi padovani: aperti al mondo esterno per essere più forti. Dal laboratorio i segreti degli antichi Veneti

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I primi padovani scelsero le anse del fiume, che li avvolgeva sinuoso in mezzo alla pianura, per insediarsi in quella che sarebbe stata la loro città. Erano amanti della famiglia, aperti ai contatti esterni, inclusivi con chi veniva da fuori. Erano così aperti per tornaconto economico-commerciale, certo, ma forse anche per indole, abituati a vivere in un luogo di continuo passaggio di uomini, animali, merci. E idee.

La grande necropoli Veneta di via Tiepolo, tombe come scialuppe di salvataggio

Lo raccontano quegli stessi padovani, attraverso le testimonianze materiali dell’archeologia. Uno dei segreti di Padova era infatti racchiuso da secoli dietro alle mura della golena San Massimo, protette da mezzo millennio da bastioni e torrioni rinascimentali (link), come quello di Castelnuovo. Ma tra le vie San Massimo e Tiepolo il segreto resisteva da molto di più, oltre 2700 anni. È il segreto sulle origini della prima Padova, racchiuso nelle necropoli dei Veneti antichi. Quando l’avanzare dell’urbanistica non fece più sconti, con la costruzione di enormi edifici nell’area, molte di tra le oltre 600 tombe dei primi abitanti della città, una necropoli risalente alla prima parte dell’ VIII secolo a.C., rischiarono di andare perdute con tutte le loro preziose informazioni. La Soprintendenza, naturalmente, faceva buona guardia nel 1990, ma i tempi furibondi dettati dai cantieri edili (peraltro di una residenza universitaria, quella nota ora come “Nicolò Copernico”), mettevano pressione. “Che questi archeologi si sbrighino”, insomma. Il punto è che ci si ritrovava davanti allo scavo archeologico più grande che la città avesse mai visto, ben 4.500 metri quadrati. Gli archeologi non ne volevano tuttavia sapere di mollare la presa, quelle sepolture, soprattutto le 300 appena scoperte (che si aggiungevano ad altrettante già note) avevano molto da raccontare: nientemeno che la nascita di Padova, la società dei Veneti antichi, i loro contatti con le altre popolazioni, l’arrivo della potenza romana.

QUI IL VIDEO-REPORTAGE SUGLI SCAVI IN LABORATORIO:

Si arrivò a un compromesso: molte sepolture furono racchiuse in cassoni di cemento,  sorta di giganteschi sarcofagi che inghiottivano una o più tombe, da trasportare in un magazzino per essere studiate integre, una ricerca finanziata dal costruttore, almeno questi erano i patti. Del finanziamento, dopo poco, si persero le tracce, i preziosi “cassoni in cemento” viaggiarono, movimentati da gigantesche gru, da un magazzino all’altro, prima di approdare in periferia, in un capannone industriale.

A questo punto però, il “lavoro” postumo degli antichi Veneti era appena iniziato. Quasi a volerli compensare del riposo eterno reso così bruscamente precario dall’attuale società liquida, gli studiosi si sono approcciati a poco a poco a queste sepolture. Non per delicatezza, benchè gli archeologi manifestino sempre grande rispetto per i resti umani. Piuttosto per via dei persistenti problemi di finanziamento, che impongono campagne di scavo in laboratorio (questa la denominazione usata per quando si lavora su sezioni di terreno spostate integre in magazzino) limitate ad alcune settimane a stagione. Si va avanti pian piano, ma inesorabilmente e con grandi risultati.

Una delle tombe della necropoli padovana di via Tiepolo scavate in laboratorio dall’Università Ca’ Foscari, direzione di Giovanna Gambacurta

In quel capannone, quindi, nel 2021 ci sono gli studenti di Ca’ Foscari, guidati dalla professoressa Giovanna Gambacurta. E c’è ancora tutta la passione e l’esperienza di Angela Ruta Serafini, che seguì la vicenda in prima persona come funzionaria della Soprintendenza Archeologica del Veneto, dirigendo quello scavo del 1990-1991. Ora lo scavo in laboratorio si tiene alcune settimane ogni anno, permettendo esperienze pratiche agli studenti, e per raccogliere notizie di quei primi padovani. Non manca la parte destinata al restauro dei manufatti, che sono ormai racchiusi, dopo tre decenni, nella morsa di una terra diventata essa stessa dura come il cemento. Il progetto ha un nome suggestivo, “Sulle tracce dell’uomo alato”, da un’immagine di un cinturone, decorato a sbalzo sullo stile della cosiddetta “arte delle situle“, tipica dell’area nord-orientale della Penisola, fino alle soglie dell’area danubiana. Progetto che potrebbe ottenere molto di più con qualche risorsa finanziaria più generosa.Nel frattempo gli studiosi cercano di coinvolgere la cittadinanza aprendo il più possibile periodicamente il laboratorio, quando le attività sono in corso.

Dai cassoni in cemento emerge la prima Padova

Dai corredi funebri, dalle urne, dalle ossa combuste, arrivano le testimonianze che raccontano un mondo, quello dei Veneti antichi. Ci dicono di stretti legami famigliari, ravvisabili nelle sepolture, che spesso permettevano il ricongiungimento in morte per chi era stato vicino in vita: uomini, donne, bambini. L’archeologia dei resti umani ravvisa anche le provenienze diverse degli individui, talvolta famiglie di altri luoghi che s’integrarono in quella che era già la città di Padova, arricchendola di contatti commerciali, di conoscenze tecniche, di culture. Emergono, talvolta, tracce di tessuti, di materiali deperibili. Le impronte “negative”, come spesso capita in archeologia, sono spesso importanti quanto ciò che si ritrova materialmente. L’ “impronta” di un tessuto ci dice molto: l’intreccio, la tessitura, il materiale. La sepoltura di un cane, scoperta nel 2018, riporta all’amore dei Veneti antichi per gli animali, non solo per i celebri cavalli capaci di vincere nelle gare olimpiche. Sono gli eventi più “facili” per far titolare un giornale, ma le notizie più preziose arrivano dal continuo confronto dei dati segli scavi, certamente meno spettacolari, ma capaci di ricostruire reti di contatti e di tradizioni, di “resistenze” culturali e di capacità di trasformarsi. La necropoli di via Tiepolo arriva fino alle tombe romane, quando la “romanizzazione” dei Veneti inizia il suo corso inarrestabile. Ma in fondo la città resta sempre tra le anse del suo fiume, o dei suoi fiumi, conoscendo varie stagioni: Roma, il Medioevo, il Rinascimento, la Serenissima, l’Austria, l’Italia.

Le grandi “capsule” di cemento spostate oltre trent’anni fa continuano la loro funzione di scialuppe del tempo, zattere di salvataggio contro i luoghi comuni e le facili sintesi storiche: navigano nel mare della complessità, offrono approdo sicuro solo per chi, come gli archeologi del capannone di periferia, rema con pazienza sulle acque del Medoacus attraverso i secoli.

Nota bibliografica

Gambacurta G., Ruta Serafini A. 2014, La necropoli orientale tra Via Tiepolo e Via San Massimo a cura di Gamba M., Gambacurta G., Ruta Serafini A.  La prima Padova. Le necropoli di Palazzo Emo Capodilista Tabacchi e di Via Tiepolo – Via San Massimo tra il IX e l’VIII sec. a.C.  Archeologia Veneto 3 – Regione del Veneto, pp. 122-128.

Millo L., Voltolini D. 2013, Le necropoli di pianura: tra rito e società  a cura di  Gamba M., Gambacurta G., Ruta Serafini A., Tiné V., Veronese F. Venetkens. Viaggio nella terra dei Veneti antichi, pp. 341-343; pp. 372-375.

Michelini P., Ruta Serafini A. 2005, Le necropoli, a cura di  De Min M., Gamba M., Gambacurta G., Ruta Serafini A., La città invisibile. Padova preromana. Trent’anni di scavi e ricerche, pp. 131-143.

Pedelì C., Pulga S. 2000, Primo intervento sullo scavo. Principi e metodi conservativi, Faenza – Museo Internazionale della Ceramica.

Progetto in collaborazione con
Soprintendenza ABAP per l’area metropolitana di Venezia e le Province di Belluno, Padova e Treviso
Fabrizio Magani, Soprintendente
Elena Pettenò, Funzionario Archeologo per la città di Padova
Benedetta Prosdocimi, Funzionario Archeologo per la gestione dei magazzini
Federica Santinon, Funzionario Restauratore

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