Lo scavo archeologico del sito palafitticolo dell’ex lago del Lucone (patrimonio Unesco) a Polpenazze del Garda (Brescia), è ripreso nel 2007, dopo le indagini tra gli anni Sessanta e Ottanta del XX secolo. È tra i più importanti siti dell’età del Bronzo, in particolare dell’età del Bronzo antico (la dendrocronologia lo situa agli inizi del II millennio a.C. per il “Lucone D”, il cantiere attualmente aperto) nel contesto dei siti palafitticoli conservati, grazie all’ambiente ancora umido, in quello che viene geologicamente definito un bacino inframorenico, a sua volta nell’anfiteatro morenico del lago di Garda.
QUI IL VIDEO-REPORTAGE SULLA CAMPAGNA DI SCAVO 2021:
L’ANTICO LAGO DEL LUCONE E LE PALAFITTE DEL “SITO D” (2034-1967 A.C.)
Il Lucone era un piccolo lago a forma di “8” poi bonificato a partire dall’epoca rinascimentale. Venne riscoperto negli anni ’60 da Isa Marchiori, insegnante a Polpenazze. Da qui partirono cinque campagne di scavo da parte del Gruppo Grotte Gavardo tra il 1965 e il 1971. L’ultimo scavo prima degli attuali fu eseguito del 1986.
Attorno al Lucone sono stati individuati vari abitati, occupati tra il 2200 – 1300 a.C. circa. La zona D, oggetto delle indagini in corso, presenta invece due fasi insediative cronologicamente risalenti a un momento iniziale dell’Antica età del Bronzo, in una situazione stratigrafica molto complessa, che ha riconosciuto però che le palafitte a bordo del lago, in questo caso, ebbero circa 70 anni di vita (2034-1967 a.C.), prima che fossero distrutte da un incendio. Come sempre in archeologia, si tratta di una situazione che “sigilla” il sito, anche grazie all’azione conservativa dell’ambiente umido e torboso.
UN SITO ARCHEOLOGICO “SIGILLATO” 4.000 ANNI FA DA FUOCO E ACQUA
Il sito archeologico del Lucone è particolarmente significativo perchè l’incendio ha permesso agli archeologi di recuperare vari elementi utili a capire la pianta dell’insediamento, al di sopra della palificazione tra riva e acqua delle palafitte vere e proprie. Travi e assi, addirittura una porta (forse la più antica d’Italia) con tanto di alloggiamento per i paletti di chiusura, oggetti di uso quotidiano, dalle gerle alla tipologie di ceramiche, con depositi molto ricchi. Il vero tesoro tra i ritrovamenti archeologici è però rappresentato dal legno e altri reperti organici, specialmente per una serie di utensili piuttosto varia: punteruoli, manici, falcetti, oggetti forse simbolici. Oltre ai resti dei prodotti conservati nel vasellame al momento dell’incendio: utilissime per l’archeobotanica le spighe dei cereali che alimentavano gli abitanti del villaggio e le ossa degli animali studiati dagli archeozoologi per ottenere un quadro delle attività di allevamento e, in generale, delle strategie di sopravvivenza dell’insediamento.


UN COMPORTAMENTO VIRTUOSO VERSO IL PUBBLICO
Durante la campagna di scavo il sito è sempre visitabile, grazie alla filosofia dei ricercatori, che hanno come virtuoso obiettivo quello di legare l’archeologia al territorio, con particolare attenzione ai giovani e ai bambini. Un esempio nei confronti di chi, come filosofia, “nasconde” il più possibile la ricerca archeologica, relegandola a pubblicazioni spesso tardive e slegate dal contesto territoriale su cui insiste. Che, tra l’altro, è una bellissima campagna che valorizza enormemente la visita al sito stesso.
Lo scavo al Lucone è gestito dal Museo Archeologico della Valle Sabbia (qui il link) in concessione ministeriale da parte del Ministero della Cultura dal 2007 ed è stato sostenuto finanziariamente negli anni dai Comuni di Polpenazze del Garda e di Gavardo, dalla Fondazione “Piero Simoni” – Museo Archeologico della Valle Sabbia – Gavardo e da Regione Lombardia.
Lo scavo si avvale di numerosi archeologi professionisti e della collaborazione di enti di ricerca e laboratori italiani.
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