venerdì 29 Marzo 2024

Metal detector e archeologia, vale il “se non li puoi battere alleati con loro”?

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Nella newsletter del New York Times di questa mattina (13 luglio 2021) c’è un articolo su un metal-detectorist polacco che ha trovato un “tesoretto” di monete carolinge dalle sue parti, decisamente fuori zona. Tanto che qualcuno si è chiesto se si possa trattare del riscatto chiesto dai Vichinghi per salvare Parigi. Ma l’articolo – nei fatti – è uno dei tanti del NYT in questi anni che celebra il metal detector come aiuto per l’archeologia, se ben regolato. In un altro, del 2017, si parla appunto di “alleanza” tra gli appassionati hobbisti dei metal detector e i ricercatori, eccolo nel link. S’intitola “I cercatori con il metal detector aiutano gli archeologi a scavare la storia segreta”. Qualcuno in Italia sarà già svenuto, e anche io barcollo un po’. Diciamo che, in generale, l’atteggiamento è però quello di “se non li puoi battere, alleati con loro”. Un passo in più in Gran Bretagna lo ha fatto il Portable Antiquity Scheme, che cerca di regolare e coivolgere in modo più strutturato l’attività dei tanti hobbisti.
In Italia sarebbe auspicabile qualcosa del genere, così organizzata? Le Regioni vanno per conto loro. Nella sola “conflict archaology” il Trentino ha un atteggiamento molto più restrittivo con i metal detector, con un approccio più protettivo per i campi di battaglia della prima guerra mondiale, che ha portato anche a ricerche importanti, come quelle sul Pasubio e altrove. Il confinante Veneto ha invece una sorta di “quasi liberi tutti”, basta solo dotarsi di patentino per il metal detector e promettere di seguire le regole. Visto con i miei occhi, c’è chi le segue con attenzione e scrupolo e chi invece se ne frega bellamente e una volta individuato un possibile reperto si mette a scavare in profondità, cosa che naturalmente non si potrebbe fare. La cosa vale per l’archeologia del contemporaneo, ma naturalmente i rinvenimenti non hanno confine cronologico, una volta tolti dal loro contesto, come ben sanno tutti gli archeologi, il danno è fatto.
CHE FARE CON I METAL DETECTORIST NON PROFESSIONALI IN ARCHEOLOGIA ?
La questione è tutt’altro che nuova, ma la domanda resta pertinente: che fare? La rigidità di fronte al problema sicuramente non aiuta, in un Paese che, oltretutto, ha delle sacche di resistenza persino sulla Public Archaeology, che non ha nulla a che fare con i metal detector ma che viene inopportunamente messa sullo stesso piano in certi schemi mentali, che mischiano tombaroli, hobbisti del metal detector e semplici cittadini che vorrebbero avere a che fare con un’archeologia condivisa. Poi ci sono altri episodi, virtuosi, di collaborazione. Eppure, come segnalano i molti articoli di un giornale come il New York Times, la questione esiste e prima o poi sarà il caso di affrontarla in modo più coordinato e realistico. Il coinvolgimento e la presa di coscienza dell’esistenza di un “contesto”, sempre lì siamo, deve essere la stella polare del ragionamento. Ignorare ed emettere grida manzoniane non è mai servito e mai servirà, purtroppo. Il coinvolgimento profondo, con un’educazione e una formazione che parte “dal basso” di solito porta frutti interessanti.

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