venerdì 19 Aprile 2024

Palafitte di Fiavé: il sito archeologico e il nuovo parco Archeo Natura, come visitarlo – VIDEO

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È uno dei capisaldi tra i siti archeologici alpini palafitticoli, quello studiato con metodo per decenni a Fiavé (Trento), sulle rive di quello che fu il lago Carera, nelle Valli Giudicarie,  uno dei tanti specchi d’acqua formatosi con il ritiro dei ghiacci. Fiavè fa parte dei 111 siti Unesco che sull’arco alpino individuano le palafitte come caratteristica abitativa. Ora l’area archeologica si arricchisce del Parco Archeo Natura, costruito sulla base dei dati archeologici per integrare la visita del sito stesso e del bellissimo Museo Palafitte di Fiavé, poco distante, in paese.

Il Parco Archeo Natura è sia una ricostruzione puntuale di un villaggio, uno di quelli delle sette fasi che si riconoscono nella storia del sito dell’Età del bronzo, sia un luogo dove cercar di far comprendere, attraverso l’archeologia dimostrativa, le principali caratteristiche della vita in questi luoghi, tra cacciatori, raccoglitori, allevatori e anche coltivatori – come evidente dalle testimonianze materiali – eccezionali – scavate in decenni di attività scientifica. Un luogo-simbolo per questo tipo di archeologia, una torbiera. Stiamo quindi parlando di “archeologia delle zone umide”, la situazione ideale per conservare non solo reperti litici o di metallo, ma anche quelli organici così facilmente deperibili. Ecco allora che il sito restituisce utensili di legno (tra i ritrovamenti archeologici più importanti per la tipologia), e parti delle stesse abitazioni. Ossa, vegetali, semi, avanzi di cibo, detriti di ogni genere: squarci di vita e di ambiente da studiare.

Gli scavi e gli studi su Fiavé mostrano chiaramente quanto possa fare un approccio multidisciplinare all’archeologia, l’apertura mentale nel mettersi in discussione e mettere in discussione – dati alla mano – le teorie più radicate, la consapevolezza che il materiale da studiare potrà essere indagato con altri approcci e altri strumenti in futuro, con risultati altrettanto dirompenti.  Franco Marzatico, che è il soprintendente trentino, ma soprattutto un archeologo che qui ha scavato per lunghe stagioni, ritiene infatti che “l’eccezionale stato di conservazione consentito dall’azione protettiva esercitata da sedimenti impregnati dall’acqua delle sorgenti ha permesso – tra l’altro –  di poter apprezzare la spettacolare monumentalità delle fondazioni lignee utilizzate per sostenere le capanne sulle sponde di un lago oggi divenuto torbiera. Poi la comprensione delle testimonianze di vita quotidiana e in particolare di eccezionali, rarissimi oggetti in legno che, insieme allo studio interdisciplinare di depositi umani, hanno consentito al mondo scientifico di indagare il rapporto tra l’uomo e l’ambiente, all’insegna di una archeologia globale. Questi reperti, per la loro unicità, sono diventati un’icona delle palafitte preistoriche tanto da attirare l’attenzione di grandi musei a Zurigo e Roma fino al British Museum.

Il lavoro scientifico su Fiavé – in gran parte ancora non pubblicato – ha soprattutto una valenza “dirimente” riguardo alle grandi diatribe archeologiche su cosa fossero le palafitte: costruzioni sulo specchio d’acqua, ai margini, sulla terraferma? A Fiavé si sciolsero i dubbi: le palafitte venivano costruite anche sull’acqua e non solo ai margini sul suolo semi-asciutto e asciutto, l’ipotesi scientifica prevalente nella seconda parte del XX secolo.

Certo, a noi affascina particolarmente il villaggio del Bronzo Medio (1500-1350 sec. a.C.) quello che viene classificato come  “Fiavé 6” , che nel museo appare nella sua quotidianità grazie agli eccezionali reperti. E che diventa il protagonista della ricostruzione del Parco Archeo Natura, nato dalla ri-naturalizzazione di un impianto di allevamento di pesci, ancora in parte esistente

parco archeo natura
Il Parco Archeo Natura delle Palafitte di Fiavé

Come si presenta la parte del parco? Si tratta di un intero villaggio ricostruito, molto bello a vedersi. Le ipotesi scientifiche sono solide, quindi niente “Hollywood”. Bene ricordare che non si tratta di archeologia sperimentale, che è sottoposta a rigidi protocolli, ma “dimostrativa”, utile per la didattica e, perché no, per il piacere della scoperta e del confronto. Ci sono alcune installazioni molto suggestive, un labirinto di pali, un grande cesto, come quelli (bellissimi) che si vedono nel museo. Il tutto è armonico, “serio”, e si sposa perfettamente con il sito archeologico, che è poche ceninaia di metri, e con il museo che conviene forse visitare prima del parco, anche se nulla vieta di fare il contrario.

REFERENZA BIBLIOGRAFICA:

Bellintani, P.; Silvestri, E. e Franzoi, M. eds. (2014). Museo Palafitte di Fiavé-Guida al Museo. PAT, Soprintendenza per i beni culturali.

LA VISITA

Come visitare il Parco Archeo Natura, il Museo delle Palafitte e, permetteteci, soprattutto il meraviglioso specchio d’acqua con le palafitte originali:

Museo delle Palafitte di Fiavé Via 3 Novembre, 53 –  Fiavé (Trento) tel. 0465 735019 Orario di apertura 2021 dal 27 giugno al 10 settembre: tutti i giorni dalle ore 10 alle 18.

Poco distante, invece, ecco il sito archeologico e il Parco Archeo Natura (Località Doss-Torbiera – Fiavé (Trento) tel. 0465 735019 – 0461 496616 (Soprintendenza per i beni culturali) sopr.beniculturali@provincia.tn.it

Orario di apertura: dal 27 Giugno al 10 Settembre: tutti i giorni dalle ore 10 alle 18; Agosto tutti i giorni dalle ore 10 alle 19; dal 10 Settembre al 31 Ottobre: sabato, domenica e festivi dalle ore 10 alle 18

Attività didattiche e laboratori per scuole e gruppi (minimo 15 persone) su prenotazione.Info: uff.beniarcheologici@provincia.tn.it  – tel. 0461 492161

Ingresso (comprensivo di ingresso al Museo delle Palafitte di Fiavé): 7 euro; ridotto 5 euro; gratuito fino ai 14 anni; convenzionato con Trentino Guest Card Laboratorio didattico: 5 euro

Foto gallery (immagini Soprintendenza Trentino)

Ecco una scheda su Fiavé: compilata dai curatori, che riportiamo in corsivo:

L’unicità delle palafitte di Fiavé

Le palafitte di Fiavé, in particolare le indagini archeologiche condotte con approccio multidisciplinare da Renato Perini tra il 1969 e il 1983, hanno messo fine ad una diatriba nel mondo scientifico internazionale lunga oltre un secolo. Il mito palafitticolo ebbe inizio nell’inverno tra il 1853 e 1854 a Obermeilen, sul lago di Zurigo, quando l’archeologo svizzero Ferdinand Keller osservò, appena oltre la riva del lago, i pali emersi a causa dell’abbassamento delle acque e li interpretò come resti di un antico abitato, edificato sull’acqua grazie all’impianto di migliaia di pali che avrebbero sorretto una piattaforma su cui si trovavano le capanne. Successivamente le indagini intraprese dall’archeologo tedesco Hans Reinerth, attorno agli anni ’20 del XX secolo, nella torbiera di Federsee, in Germania, permisero di provare l’esistenza anche di abitazioni originariamente costruite parte sulla riva e parte sulla terra ferma, le cui strutture lignee si sarebbero conservate grazie all’ambiente umido. Nel 1954, a 100 anni dalla loro scoperta, l’archeologo svizzero Emil Vogt affermò che le palafitte altro non erano che i resti di abitazioni erette sulle rive di bacini lacustri. Il dibattito sulle palafitte in acqua o all’asciutto si concluse solo con gli scavi archeologici condotti a Fiavé dove nel 1969 Renato Perini diede avvio alle prime ricerche sistematiche nella torbiera. Mettendo in campo un’équipe internazionale di archeologi e specialisti di diverse discipline scientifiche, l’archeologo trentino individuò i resti di almeno tre villaggi palafitticoli. Quasi a farsi beffe dell’ormai annosa disputa accademica, si trattava di: un villaggio sorto all’asciutto sulla sponda del lago Carera (Fiavé 1, tardo Neolitico, 3800–3600 a.C.), un villaggio di capanne su singole piattaforme erette sull’acqua (Fiavé 3-4-5, età del Bronzo Antica e Media, 1800–1500 a.C.) e, infine, di un singolare villaggio sorto in parte all’asciutto e in parte in acqua (Fiavé 6, età del Bronzo Media, 1500–1350 a.C.).

L’importanza delle scoperte effettuate a Fiavé è dovuta a più fattori fra loro correlati, a partire dalla presenza di più soluzioni costruttive testimoniate da resti strutturali in uno stato di conservazione fuori dall’ordinario, grazie al particolare ambiente umido che le ha custodite per millenni. Si tratta delle imponenti strutture di fondazione costituite dagli oltre settecento pali che si elevano dal fondo lacustre per circa quattro/cinque metri e di un ingegnoso reticolo con pali a plinto, documentato nel villaggio Fiavé 6, risalente all’età del Bronzo (1500 – 1350 a.c.). Questa complessa struttura, di rilevanza mondiale nella sua tipologia, era destinata a distribuire i pesi uniformemente e quindi a conferire solidità alle capanne. Allo stesso tempo consente di trarre delle considerazioni sull’articolazione sociale, in quanto risponde in tutta evidenza a un piano preordinato che presuppone la guida di una leadership in grado di orientare le scelte costruttive e l’assetto regolare dell’abitato, delimitato verso l’antico lago da una palizzata. A questi aspetti si aggiunge la prolungata, ininterrotta occupazione del sito, rispecchiata dalla enorme quantità di materiali messi in luce dagli archeologi, fra i quali l’insieme più ricco di manufatti in legno dell’età del Bronzo. Le spettacolari scoperte della “selva di pali” e del reticolo di fondazione dell’abitato Fiavé 6 hanno ottenuto un’eco internazionale come testimoniano le immagini pubblicate in testi sia scientifici sia scolastici e in musei prestigiosi come il British Museum.

 

Sono 111 le aree archeologiche dichiarate nel 2011 Patrimonio Mondiale dall’UNESCO e incluse nel sito seriale transnazionale “Siti palafitticoli preistorici  dell’arco alpino”. Tra queste anche le palafitte di Fiavé e Ledro. Si tratta di un riconoscimento di grande prestigio che conferma l’alto valore scientifico delle palafitte trentine, peraltro già noto da lungo tempo a livello internazionale. Per la candidatura sono stati presi in considerazione circa 1.000 siti palafitticoli distribuiti lungo tutto l’arco alpino, ma l’inserimento nella lista UNESCO ha riguardato una selezione dei più significativi. I sei Paesi interessati sono, oltre all’Italia, Francia, Svizzera, Germania, Austria e Slovenia.

I motivi del riconoscimento sono legati a diversi aspetti, a partire dalla scarsa rappresentanza, nel patrimonio mondiale, della preistoria rispetto alla quale le palafitte costituiscono uno dei fenomeni più appariscenti, molto conosciuto dal grande pubblico e nel contempo ricco di testimonianze di valore storico. I villaggi palafitticoli sono infatti una delle più importanti fonti archeologiche per lo studio delle comunità umane europee tra il 5000 e il 500 a.C. Le condizioni di conservazione in ambiente umido hanno permesso la sopravvivenza di materiali organici che contribuiscono in modo straordinario a comprendere il Neolitico, ovvero l’avvento delle prime società agrarie, l’età del Bronzo, caratterizzata dalla diffusione di tecnologie complesse come la metallurgia e dagli scambi su lunga distanza, ed infine le interazioni fra gruppi umani e territorio a fronte dell’impatto dei cambiamenti climatici.

A livello nazionale gli abitati palafitticoli inclusi sono 19,  ubicati in 5 regioni dell’Italia settentrionale: 10 si trovano in Lombardia, 4 sono nel Veneto, 2 in Piemonte, 1 in Friuli  Venezia Giulia e  2 in Trentino. La selezione di questi tra le centinaia di siti palafitticoli italiani è  stata un’operazione lunga e a volte difficile, che ha visto impegnati numerosi esperti italiani. Si sono selezionati siti che garantissero una rappresentatività cronologica e geografica del fenomeno in Italia, che illustrassero le principali variabili strutturali presenti, che garantissero condizioni di conservazione dei sedimenti e delle strutture, che presentassero chiare potenzialità per le future indagini e che possibilmente fossero già oggetto di valorizzazione e  divulgazione, anche in relazione a musei e parchi naturali. Si sono innanzitutto definite sei macroaree geografiche all’interno delle quali si è cercato di individuare i contesti più significativi. In linea con le direttive dell’ UNESCO i siti italiani hanno creato un Gruppo di Lavoro il cui referente è attualmente il soprintendente per i beni culturali della Provincia autonoma di Trento, Franco Marzatico.

L’inclusione nel Patrimonio Mondiale prevede la condivisione, da parte di tutti i Paesi coinvolti, di alcune azioni fondamentali relative ai cinque punti individuati dall’Unesco: affidabilità e attendibilità, conservazione e protezione, sviluppo delle competenze, comunicazione e partecipazione popolare. Il riconoscimento deve quindi costituire uno stimolo continuo per tutti i soggetti coinvolti, incluse le popolazioni locali, che implica la consapevolezza e l’impegno nell’attività di tutela, conservazione e valorizzazione del patrimonio archeologico a beneficio della crescita culturale della società e delle future generazioni.

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