Un ex-tombarolo di Veio, così si definisce, si prende la scena su Facebook e provoca gli archeologi in “casa” loro :“so solo che le cose belle le dovete al tombarolo”; “noi siamo sempre un passo avanti sulla conoscenza”; “siamo due sponde diverse ognuno la pensa a modo suo“.
Insomma, per chi, secondo il suo avvocato ed evidentemente le motivazioni delle sentenze, si professa “pentito” dopo essere stato un tombarolo, non c’è male. D’altronde questa del tombarolo pentito (definizione ovviamente non giuridica) è una sorta di investitura ufficiale, perchè se guardiamo il sito dei Parchi della Regione Lazio, ad esempio, troviamo questa descrizione della tomba dei Leoni Ruggenti :”Scoperta nel 2006, con la collaborazione di un “tombarolo” pentito, la tomba , scavata nel tufo è preceduta da un corridoio di accesso con banchine laterali per lo svolgimento di cerimonie. Deve la sua denominazione al fregio di belve feroci dipinto nella camera sepolcrale: quattro leoni con le fauci spalancate e denti aguzzi…”
La tomba etrusca in questione è quindi quella importantissima per la sua cronologia “alta”, 690 a.C., e per il fatto che apre la strada alle tombe dipinte, almeno per quanto ci dicono finora le evidenze archeologiche. L’archeologo Michele Damiani fa un post sul suo profilo Facebook per la festa del papà, una foto e una breve descrizione: “La tomba dipinta più antica d’Etruria racconta di un’identificazione che ha un’eco profonda, che ancora risuona, in un padre e suo figlio, nati a Veio nel mese di Agosto“. Insomma, Damiani condivide le sue passioni, coerentemente alla sua descrizione su YouTube, “Archeologo, narratore, Veientano. Racconto storie di uomini e paesaggio dell’antica città etrusca di Veio, del suo territorio e della sua eredità millenaria“. Il post viene condiviso su Passione Etrusca, vasta agorà social per appassionati, e lì scatta qualcosa. Appunto, interviene l’ex-tombarolo, ora in versione social: “questa è la tomba che ho scoperto nel 2005 (sic) e tutti danno la loro versione” (i post sono emendati dagli errori redazionalmente per una lettura più scorrevole). Qui apriti cielo, oltre 100 commenti a cominciare dall’autore del post, indignato “Il tombarolo crede di saperne di piu, é quello il vero guaio. Ha la conoscenza del territorio, la connivenza dei proprietari terrieri, ma quando trova una tomba la saccheggia volgarmente. La sua ‘conoscenza’ é istintiva e predatoria, come quella dei sorci, e non va mai paragonata a chi queste cose le studia e le tutela“. C’è chi invece fa dei distinguo, ritenendo quasi antropologicamente interessante il caso dell’ex tombarolo in questione, oppure chi sottolinea come, in fondo, anche chiudere per sempre i reperti in magazzini sia parimenti una “sottrazione” di beni pubblici. Cosa ovviamente non paragonabile, benchè certi depositi museali abbiano meritato questa triste fama.
Questi distinguo, questo ancora persistente “fascino” del tombarolo che “sa”, è oggettivamente un approccio molto radicato in Italia. Avviene, pensiamo, non a caso dove il “bene culturale” viene spesso inteso “patrimonio” nel senso di “cosa”, “roba”, “dobloni da tesaurizzare” e da condividere solo con gli eletti. E dove i tanti sforzi teorici verso una condivisione, l’apertura alla cittadinanza, la partecipazione al bene comune etc. vengono piegati troppo spesso per l’incasellamento in un sistema anelastico e punitivo. Insomma, la sciagura perniciosa dei “tombaroli” non nasce nel nulla ma in un terreno fecondo, fatto di troppe grida manzoniane e di tante occasioni perdute. Restiamo tuttavia convinti che l’ex-tombarolo che si vanta delle sue “imprese” non meriti il nome citato in questa e altre sedi, visto che se la pubblica gogna non serve almeno non venga amplificato il suo ego.
Nella vicenda in questione, comunque, l’attentissima vedetta social dell’Etruscologia, il Museo di Villa Giulia, non è rimasta inerte. Ed è scesa in campo immediatamente con il suo direttore Valentino Nizzo, di cui riportiamo l’intervento e, sotto, il link alla diretta (bravo Nizzo anche per la tempistica!)
“Gentile sig. [omissis], quello che è sopravvissuto ai saccheggi della “sua” tomba è oggi esposto in una vetrina del Museo di Villa Giulia dove decine di migliaia di persone possono ammirarlo ogni anno. E possono vedere con i propri occhi le ferite che quel patrimonio ha subito da chi l’ha preceduta e molto probabilmente anche da lei che “vanta” quella scoperta. Peccato che “scoprire” significhi anche “conoscere” e tutto lei ha fatto tranne favorire la conoscenza, che è un bene collettivo ancor più del guadagno che si può trarre da ciò che si scopre. Chi ha un minimo di competenze, perchè se le è faticate sui libri o in scavi regolari, è perfettamente in grado di immaginare ciò che oggi manca in quella vetrina e che è stato privato per sempre del legame con il suo contesto per poche migliaia di euro. Lei oggi dice di aver pagato con la giustizia. E così è. Certamente. Ma forse sarà opportuno aggiornare le didascalie di quella vetrina con il nome del saccheggiatore di quella tomba, affinché possano conoscerlo tutte le migliaia di persone che osservano quel materiale violentemente e insulsamente danneggiato. La conoscenza è un bene importante così come quello di assumersi la responsabilità delle proprie azioni. Non credo che possa comprendere il significato profondo di queste mie parole. Rubare a danno del patrimonio non è come rubare in casa delle persone. Lei ha portato via un pezzo della nostra memoria collettiva e della nostra Storia e non potrà mai restituirlo. Spero almeno che la giustizia le abbia consentito di comprendere un pizzico del danno che ha fatto. Ma dalle sue parole non mi sembra. Auguri”
Auguri anche, e molti, a chi deve affrontare sul territorio la sciagura dei tombaroli e altri scempi con armi drammaticamente spuntate: giuridiche, culturali, economiche.
QUI IL LINK ALLA DIRETTA DI VALENTINO NIZZO:
https://www.facebook.com/valentino.nizzo/videos/10224350190052894
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Si è sempre saputo che i “tombaroli” sono più bravi della soprintendenza, credo però che questo è dovuto al fatto che non rispettano vincoli di sorta. Ben vengano i “pentiti” a dare una mano alla salvaguardia del patrimonio archeologico.
Il tombarolo conosce il territorio come nessuno, questo è certo. Poi ovviamente non è in grado di fare uno scavo per ottenere informazioni archeologiche, a parte il recupero di oggetti da saccheggiare, e quindi non è “più bravo” dei professionisti. Sul “pentito”, o collaborante: ben vengano, sarebbe un successo dello Stato. Ma se poi il “pentito” si vanta di quanto fatto in precedenza, su questo pentimento o collaborazione che sia avrei qualche dubbio.