giovedì 25 Aprile 2024

La Federazione delle consulte universitarie di Archeologia ricorda commossa Giuseppe Pucci

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Ieri (16 febbraio 2021 ndr) è mancato all’improvviso, nella sua casa grossetana, Giuseppe Pucci, per chi lo conosceva più da vicino, semplicemente Pino.

Un grande dolore e una perdita per la comunità scientifica, altrettanto grande.

Lo ricordiamo soprattutto per l’instancabile, raffinata curiosità che non conosceva limiti temporali o disciplinari, ma selezionava nozioni preziose, frutto di una ricerca personale che si basava sulle sinapsi tra cellule di logica tra le più imprevedibili, sui ponti gettati tra saperi apparentemente distanti tra loro, sulle contiguità di significato inaspettate. Per tutto questo, nei suoi interessi scientifici e in vari filoni della sua produzione, archeologia, storia dell’arte, estetica, antropologia e arte visuale (dal cinema ai fumetti) non hanno mai viaggiato separatamente. Una vastità di interessi culturali, coltivata anche al di fuori dello specifico ambito professionale, che ne faceva da sempre un fine conoscitore dell’opera lirica ma anche un hacker spericolato orgoglioso di avere raccolto una biblioteca digitale di oltre 10.000 volumi.

Lo ricordiamo tra i padri fondatori della rivoluzione dell’archeologia italiana, iniziata negli anni Sessanta del XX secolo e nata in seno al gruppo della rivista “Dialoghi di Archeologia” fondata da Ranuccio Bianchi Bandinelli. Rivoluzione che ebbe poi modo di evolversi nell’Università di Siena, luogo dove Pino rimase per quasi quaranta anni come docente di Archeologia Classica. Gli studi sulla cultura materiale, la fondazione della rivista “OPUS” sono tra i portati di quel periodo giovanile.

Lo ricordiamo come il più taciturno degli uomini e il più brillante tra i conferenzieri.

Lo ricordiamo come mentore e maestro, ruolo nel quale sapeva essere rude e ironico, ma anche generoso e disponibile.

Lo ricordiamo con le sue stesse parole, raccolte in un’intervista del 2018. Ad Antonio Pizzo che gli chiedeva il motivo della sua molteplicità di interessi, rispondeva così:

A rischio di apparire presuntuoso, ricorderò l’aggettivo che secondo Filone di Alessandria si attaglia al sapiente: methórios. Significa colui che sta sul confine (hóros), ma guarda anche ciò che sta al di là (metà). Del resto, etimologicamente, “confine” non vuol dire barriera, ma l’opposto: un fine comune, condiviso.

In effetti, io sono sempre stato curioso di sapere cosa succedeva un po’ più in là, in casa d’altri. Esplorare nuovi territori, trovare nuovi punti di vista mi è parso sempre naturale. E non ho mai fatto una gerarchia di valori, né ho mai temuto che mi accusassero di occuparmi di cose futili, o poco compatibili con la dignitas accademica. Anche perché – e questo lo rivendico con forza – che mi occupassi della teoria della classificazione o di cinema peplum, di scultura greca o di fumetti, l’ho fatto sempre con lo stesso rigore filologico. Il motto della Society of Dilettanti era: seria ludo. Io mi sono sempre attenuto (almeno spero).» Lo ricordiamo tristi ma sereni perché ci rimangono le sue opere e i suoi insegnamenti, e per questo anche con molta gratitudine e con grande affetto.

da comunicato inviato in redazione in data di ieri

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