venerdì 22 Settembre 2023

Un’ottima annata: il vino più antico d’Italia ha 3.500 anni (a Bondeno, Ferrara)- VIDEO INTERVISTA

In Evidenza

Che sia un’ottima annata, ancora non lo sappiamo. Ma il vino di Pilastri (comune di Bondeno, Ferrara), sicuamente è invecchiato, eccome! Ai primi di novembre 2020 il Journal of Archaeological Science se n’è uscito con una “degustazione” delle tracce archeologiche di quelle che – fino a ora – sono le più antiche prove di consumo del vino, 3500 anni fa. Queste sono il frutto dello scavo di una terramara, uno dei più tipici insediamenti protostorici dell’Italia settentrionale. Campagna diretta dal professor Massimo Vidale, del Dipartimento dei Beni Culturali dell’Università di Padova, per un sito che risale ad un’epoca compresa tra il 1600 e il 1300 a.C., e condotta in collaborazione con la Soprintendenza dell’Emilia Romagna e il Comune di Bondeno

Il titolo che ho messo sopra a questo articolo è vero, ma è anche rischioso. Nell’intervista che potete trovare in questo video il professor Vidale è ben conscio che i termini “più antico” possono essere messi in discussione dalla prossima analisi appena dietro all’angolo. Sappiamo, ad esempio, di vino in Sicilia, antichissimo, e altre analisi che ci portano molto più a est, oltre il Mediterraneo. la “corsa al più antico” lascia ovviamente il tempo che trova, è più ad uso giornalistico, ma in fondo è un peccato veniale in questi casi. L’antichità del “vino dei Pilastri” non è tanto data dalle evidenze della produzione, ma dal fatto che qui le prove archeologiche portano proprio al consumo di vino, visti i contenitori a cui le analisi si riferiscomo: non giare per produzione, recipienti per conservazione e trasporto, ma contenitori per il consumo personale o comunitario. Con tutte le conseguenze del caso.

Le analisi gas-cromatografiche effettuate da Alessandra Pecci (Università di Barcellona) – scriveva un comunicato dell’Università di Padova – dimostrano che circa più di un terzo dei frammenti di vasi di Pilastri sinora esaminati contengono tracce dei bio-markers del vino, ossia acidi tartarico, succinico e maleico, e che in alcuni casi il contenuto aveva tracce di zolfo e di resina di pino. Lo zolfo potrebbe essere stato aggiunto come anti-fermentativo della bevanda, oppure essere stato usato per sterilizzare i contenitori; la resina, per impermeabilizzare le parti interne dei vasi.

Ma non basta: tecnicamente vino e aceto non sono distinguibili dalle analisi, e pertanto anche l’ipotesi dell’aceto come efficiente conservante alimentare deve essere messa sul piatto della bilancia. Il sale era merce estremanente preziosa, necessaria anche per l’allevamento animale.

Inoltre anche lo scavo del sito di Canale Anfora, presso Aquileia, diretto Elisabetta Borgna dell’Università di Udine, ci parla di allevamento della vite, e va a costituire un tassello importante nel quadro della produzione, diffusione e consumo del vino nelle epoche più antiche della penisola Italiana

 

BIBLIOGRAFIA / REFERENCES

Pecci, A.; Borgna; E.; Milet, S.; Dalla Longa, E.;  Bosi,G.; Florenzano, A., Mercuri, A.M.; Corazza, S.; Marchesini, M. and Vidale, M. (2020). Wine consumption in Bronze Age Italy: combining organic residue analysis, botanical data and ceramic variability. Journal of Archaeological Science (123, 2020, 10526)

FORSE PUÒ INTERESSARE ANCHE:

L’anfiteatro di Volterra, lo scavo dal drone (video emozionale)

 

Altri articoli

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

News